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REVIEWSLE RECENSIONI
Violets As Camouflage
Mary Bragg
2019  (Tone Tree Music)
AMERICANA/FOLK/COUNTRY/SONGWRITERS
8/10
all REVIEWS
04/04/2019
Mary Bragg
Violets As Camouflage
Americana, con qualche incursione nel country, e un filotto di ballate, talvolta solo acustiche, nella seconda parte del disco più elettriche, che declinano con ispirazione un linguaggio conosciuto, ma in questo caso ricco di sfumature e di debordante intensità

Finalmente, al quarto tentativo, Mary Bragg sforna quel capolavoro che i lavori precedenti già facevano presagire. Fin dal titolo originalissimo, Violets As Camouflage è un disco sincero e sfacciato, in cui la Bragg sfoggia una padronanza compositiva da fuoriclasse, gioca sui contrasti, alternando intensità emotiva e vulnerabilità, ricamo acustico e distorsione elettrica, malinconia autunnale e barbagli di sole primaverile.

La storia di Mary Bragg è la storia di un’artista inquieta, di una donna che ha girato gli States in lungo e in largo per trovare, finalmente, a Nashville, una casa dove stabilizzare la propria creatività. Nata a Swainsboro (Georgia), nel profondo Sud degli Stati Uniti, Mary è cresciuta in una famiglia numerosa (quattro fratelli e ventun cugini, riportano le cronache), trovando poco spazio per dare voce alle proprie velleità musicali. Un viaggio a New York, le ha cambiato la vita e le prospettive, tanto che, finito il liceo, la giovane Bragg si è trasferita a vivere nella Grande Mela, per fare un’esperienza di vita, quella che poi confluirà nei testi delle canzoni di Lucky Strike (il suo terzo full lenght), e per tentare di sfondare nel mondo della musica, favorita dal rutilante panorama di una metropoli dalle mille possibilità.

New York, però, logora, soprattutto chi arriva dalla provincia: così Mary, dopo aver registrato un disco a Manatthan (Tatoos & Bruises del 2011) ed aver tentato l’avventura californiana con The Edge Of This Town (2015), è approdata a Nashville, città meno caotica ma comunque fervida di suggestioni musicali. Qui, dove risiede dal 2014, è entrata subito in sintonia con la comunità roots, conquistandosi la stima di molti musicisti locali, che hanno dato poi un contributo decisivo alla stesura delle canzoni che hanno composto l’acclamato Lucky Strike.

L’approccio di Mary a quel lavoro fu, a dir poco, minimal. Scelse un budget ridotto e uno studio di registrazione di basso profilo, con impianti e microfoni vecchi, per rendere più vero il suono, privandolo così di ogni inutile artificio. Si fece affiancare alla consolle da Jim Reilly (membro fondatore dei New Dylans) e scelse la strada, per quanto possibile, della presa diretta, registrando senza filtri ed evitando invasivi rimaneggiamenti in fase di post produzione. Violets As Camouflage si muove più o meno negli stessi territori, ma con una consapevolezza diversa, un tocco più maturo, con arrangiamenti meno francescani, ma egualmente calibrati. Americana, con qualche incursione nel country (il violino di A Little Less), e un filotto di ballate, talvolta solo acustiche, nella seconda parte del disco più elettriche, che declinano con ispirazione un linguaggio conosciuto, ma in questo caso ricco di sfumature e di debordante intensità.Se l’abito indossato da queste canzoni è il più classico dei classici, da parte sua la Bragg mette una voce incredibilmente duttile e ispirata, cesellando melodie che, in più di un caso, lasciano a bocca aperta.

Il disincanto malinconico di I Thought You Were Somebody Else (“Ho preso in giro me stessa. Scusa, pensavo fossi qualcun altro”) apre il disco su note di pedal steel, languide come lacrime sul velluto. La melodia in punta di plettro di Fixed pizzica le corde del cuore e sollecita al ragionamento, innescando una riflessione sull’idea distorta che i giovani talvolta hanno di loro stessi e della propria bellezza a causa dei social.

Fool è una ballata elettroacustica che passa vicino a Lucinda Williams e manda al tappeto con un ritornello di sofferta intensità, Runaway Town è il brano più rock del lotto, vola dritto e diretto su un drive di chitarra schietto e senza fronzoli, mentre The Right Track intreccia acustica e pedal steel in un ordito melodico candido come la neve.  

Poi, arriva il momento di The Highest Tower, e la caratura artistica di Mary Bragg si manifesta in tutto il suo abbagliante splendore: chitarra acustica, riverberi elettrici e un’interpretazione vocale che commuove alle lacrime, per intensità, inaspettati cambi di registro e tecnica. Fare una canzone immensa con quasi nulla, non è da tutti. Mary Bragg ci riesce, sigillando un disco di americana fra i migliori ascoltati negli ultimi anni. Bellissimo.