La sensazione è che se avessimo ascoltato Visions Of A Life a metà anni ’80 o a metà anni ’90, l’avremmo trovato non solo un disco attualissimo, ma anche un’opera capace di immaginare il futuro e di prevedere l’evoluzione di un suono. Ascoltato oggi, il sophomore dei londinesi Wolf Alice suona ancora come un disco attualissimo, che guarda a quei decenni come serbatoio di ispirazione per riscrivere pagine fondamentali della storia in chiave moderna. Passato e presente, dunque, che trovano un equilibrio stabile sulla corda tesa di una creatività decisamente british: è questa la chiave di lettura di un disco che pone i Wolf Alice sul podio delle uscite più interessanti del 2017. A differenza di My Love Is Cool, acclamato esordio di un paio di anni fa, Visions Of A Life attenua un poco la grinta in favore soluzioni più melodiche. Il tratto più saliente del disco, però, sono la superiore verve compositiva e la definitiva codificazione di uno stile, elementi che testimoniano di una maturità già completamente raggiunta. Sono queste le caratteristiche che permettono di rendere omogeneo un disco estremamente composito, di far convivere in armonia generi e suoni derivati, certo, ma riadattati secondo l’abbecedario alternative del nuovo millennio. Heavenworld apre il disco riverberando melodie dal sapore dream pop, tra accecanti esplosioni di luce elettrica e carezzevoli barbagli di sole. Un mood sognante che si sgretola nella successiva Yuk Foo, sciabolata post punk attraversata dalla voce assassina di Ellie Rosewell e da echi mancuniani alla Joy Division. Gli umori mutano repentinamente con la successiva Beautifully Unconventional, stiloso indie rock alla Garbage dall’irresistibile appeal radiofonico. Tre canzoni, tre generi diversi, uno stile unico. E questa la vera forza di un disco, in cui ogni brano rappresenta un’autentica sorpresa. Così, Don’t Delete The Kisses trasforma l’underground in overground, trasfigurando lo spoken ansiogeno della Rosewell in un conturbante screaming melodico; l’elettricità a basso voltaggio di Planet Hunter evoca i Cranberrries, spingendo l’ascolto verso derive di cupa malinconia, amplificate, poi dal beat sotterraneo dell’inquietante Sky Musing. E non finisce qui: c’è spazio ancora per il riff uncinante e il basso gommoso di Formidable Cool, il pop scartavetrato dalle chitarre punk di Space & Time, il saliscendi destabilizzante di St. Purple & Green, costruito sull’incastro di esplosioni noise e languori estatici. Chiude la spettacolare title track, quasi otto minuti in cui l’iniziale passo pesante si accende in un crescendo di fremente psichedelia e derapate noise alla Sonic Youth. Perfetto sigillo di un disco in sospeso fra passato e presente, fra divagazioni sognanti e forza bruta, fra eleganza formale e cruda sostanza. I Wolf Alice sanno bene da dove sono partiti e ce lo dicono in tutti i modi possibili; ma sanno soprattutto dove vogliono andare e come arrivarci: idee chiare asservite a una sincera creatività e non al business o alle mode. In attesa di arrivare lontano, si aggiudicano la palma per uno dei migliori dischi del 2017.