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REVIEWSLE RECENSIONI
Volevo Magia
Verdena
2022  (Universal)
IL DISCO DELLA SETTIMANA ALTERNATIVE ROCK ITALIANA
8/10
all REVIEWS
10/10/2022
Verdena
Volevo Magia
I Verdena tornano a pubblicare un disco dopo sette anni e il fatto in sé già dice della loro grandezza. Uno iato di queste dimensioni, in un’epoca iper veloce come la nostra, può essere sostenuto solo mediante un senso fortissimo della propria identità, una libertà da ogni condizionamento esterno, oltre ovviamente ad una fanbase che, succeda qualunque cosa, non ti abbandonerà mai.

I Verdena hanno tutto questo e molto di più. Sono in giro da 23 anni, sono esplosi sin dal primo disco e hanno sempre e solo fatto quello che volevano. Negli anni sono cambiate le mode, siamo passati dal rock alternativo alla Trap e abbiamo radicalmente stravolto la nostra modalità di fruizione della musica. Nonostante questo, loro ci sono sempre stati, imperturbabili di fronte a tutte le mutazioni. Non solo non si sono mai spostati dalla bergamasca, loro terra d’origine, dove tuttora vivono e dove hanno scritto, preprodotto e registrato tutta la loro musica; nel tempo hanno anche plasmato la loro proposta in un qualcosa che è autenticamente loro, un’identità perfettamente riconoscibile sin da poche note. Che genere fanno oggi i Verdena? La risposta è semplicemente che i Verdena hanno sempre suonato come i Verdena, questa cosa non è mai cambiata, nonostante abbiano poi variato molto la formula da disco a disco.

E quindi succede che quando escono con della nuova musica (e succede di rado, visto che questo è solo il loro settimo album dal 1999) li ritroviamo ogni volta mutati ma anche uguali a se stessi, cosa che è allo stesso tempo sorprendente e liberante.

Il paradosso di Volevo magia è in realtà che a farlo ci hanno messo relativamente poco: a sentire loro, nel 2018 erano già pronti per uscire. Poi però Alberto Ferrari ha voluto mettere mano ad alcuni brani e già che c’erano si sono messi pure a rivedere la tracklist, per capire se fosse il caso di operare delle modifiche.

Nel frattempo ci sono stati i side project: Dunk, Animatronic, Hate My Village; Roberta Sammarelli faceva tre figli e infine arrivava la pandemia. Ti fermi un secondo e sono già passati sette anni.

È anche vero che prima c’è stata tutta l’esperienza di America Latina, il film dei fratelli D’Innocenzo di cui hanno curato la colonna sonora, ma si è trattata più che altro di una parentesi: hanno recuperato del materiale composto in precedenza da Luca Ferrari e lo hanno espanso e riarrangiato, non c’è nessun legame con queste nuove canzoni. Più che altro, è servito per sbloccarli, perché tornassero in pubblico, ed è servito soprattutto a noi, per avere una prova che fossero ancora vivi.

 

Quando esce un disco del genere, da parte di una band così importante, sarebbe meglio sospendere i giudizi, specie quelli affrettati, e lasciar parlare il più possibile la musica. L’ansia di definire, di incasellare, ancora di più nel momento in cui le uscite vengono dimenticate di settimana in settimana, dovrebbe lasciare il posto ad una lenta e costante assimilazione, che abbia come unico fine quello di rispondere (in maniera ponderata, però, non in modo istintivo): che ne penso davvero?

Recentemente intervistati da Rumore, hanno confessato di non avere idea di quello che fanno di volta in volta, che le canzoni escono fuori così, le registrano e poi, anche rispondendo alle domande dei giornalisti, riescono ad inquadrare meglio il loro lavoro. Se dunque non ci capiscono niente loro, perché dovremmo provare a farlo noi?

 

Volevo magia è il settimo album dei Verdena, arriva da due lavori mastodontici, entrambi doppi (anche se le due parti di Endkadenz erano uscite a qualche mese di distanza l’una dall’altra, su imposizione della casa discografica) ed è, piuttosto comprensibilmente, un lavoro più snello: 13 canzoni per 51 minuti di musica, sono finalmente dimensioni più gestibili, il fatto che avessero in giro altre 17 canzoni che hanno deciso di scartare la dice lunga sulle loro intenzioni.

Ecco, tutto questo è vero solo a livello di forma, perché poi si tratta del disco più ostico che abbiano mai fatto. A prima vista non si direbbe, perché Endkadenz era un bel mattone, pesante, ultra distorto e a tratti monodimensionale. Però lì dentro c’erano anche tante melodie, due o tre brani di grande impatto e almeno nella prima metà scorreva via piuttosto agile.

L’impressione, a questo giro, è che i nostri non ci abbiano voluto fornire troppe chiavi interpretative (anche perché non le avevano nemmeno loro): hanno jammato in studio come al solito, hanno lavorato sulle idee migliori e le hanno confezionate. Punto. Volevo magia suona esattamente come un disco dei Verdena, ha la solita produzione scarna e abrasiva, il solito approccio da presa diretta (anche se le sovraincisioni, soprattutto quelle orchestrali e certe parti chitarristiche sono stupende), il solito amore per le distorsioni e la sporcizia sonora, anche se rispetto al precedente c’è più chitarra acustica e più di un episodio che potrebbe somigliare ad una ballad. Dovessimo semplificare, diremmo che sta a metà tra Endkadenz e Wow, ma che a livello di idee è molto più simile al primo, l’immediatezza melodica e vagamente Sixties del doppio del 2011 è del tutto assente.

 

È un disco che sembra uscito da una macchina del tempo, decontestualizzato, non in linea col presente, un po’ ci fa lo stesso effetto del ritorno in pompa magna dei Tool, un paio di anni fa: sono quelle band dalla dimensione eterna, immutabile, che suonano due note e capisci che sono loro e che sono sempre stati lì.

Per cui nessun timore di analizzare, di sviscerare, nessuna urgenza di doverci capire qualcosa. Anche perché, stavo tentando di dirlo prima, questo è un disco difficilissimo: quando è uscita “Chaise Longue”, chi si lamentava che fosse poco immediata, che fosse poco adatta come singolo, chi ha fatto paragoni con “Luna” o anche solo con “Razzi Arpia Inferno e Fiamme” (se si ascoltasse senza fare paragoni il mondo dei fan sarebbe un posto più bello in cui vivere), ha probabilmente scoperto che si trattava della traccia più accessibile dell’album.

 

I suoni sono fantastici, il tiro è monumentale come sempre, e soprattutto a questo giro mi sembra che Luca abbia fatto più che altrove un lavoro pazzesco alla batteria. Ci sono cose che mi sono entrate subito, per esempio la cavalcata Indie Rock di “Paul e Linda”, o la pesantezza a tratti atonale di “Pascolare”, o ancora l’incedere quasi Stoner di “Crystal Ball”, col suo riffone da manuale, per me la più bella del disco. In generale però è un disco che va metabolizzato con calma e pazienza, perché il focus non è mai nel brano in sé ma nei dettagli, e a seconda di dove poni l’attenzione la tua esperienza di ascolto può cambiare parecchio (brani come “Dialobik”, “Sui ghiacciai” o “X Sempre assente” non li ho ancora capiti, una volta li adoro e la volta dopo mi sono già annoiato a metà) . “Certi Magazine”, col suo incedere acustico, ti spiazza più o meno verso la metà, “Cielo super acceso” è assieme a “Chaise Longue” quella che colpisce di più al primo ascolto, bella parte di chitarra e ritornello piuttosto immediato, siamo più o meno dalle parti delle loro primissime cose. Poi c’è la title track, la loro seconda title track di sempre, che è un assalto Hardcore violento e senza compromessi, con una linea di chitarra talmente stereotipata da sembrare una parodia. Va bene, ci si ricorda che da giovani adoravano i Melvins, ma queste cose qui, sulle loro canzoni, le hanno mai fatte? In effetti hanno spiegato che all’inizio era un pezzo lento e che durava troppo: un giorno l’hanno suonata così per scherzo e alla fine sul disco è finita quella versione lì. Ecco, probabilmente questo aneddoto serve da solo a capire con che cosa davvero ci stiamo confrontando.

Sul fronte della pesantezza c’è anche “Paladini” che fa benissimo il suo lavoro, con una parte ritmica molto intricata e un cantato che segue il riff spezzettato della chitarra, poi un incedere marziale, un mid tempo da stop and go con un’apertura centrale più melodica e psichedelica. Un brano splendido, tra i più ricercati, ma anche quello che fotografa meglio questo senso di libertà compositiva, questa associazione casuale di elementi che in modo molto misterioso diventano poi una canzone.

E un disco del genere non poteva che concludersi con “Nei rami”, ballata struggente e dissonante, con orchestrazioni sinistre ad accompagnare un cantato che assomiglia ad una nenia proveniente da altri mondi. Testo bellissimo, sorta di evocazione di una figura amata e oggi scomparsa, parole che Alberto ha dichiarato essere le uniche esplicite in tutto il disco, le sole a non giocare la carta del nonsense surreale. Dubito me ne sarei accorto se non lo avessi letto ma ascoltata da questa prospettiva si rivela una traccia piena di sofferenza e di nostalgia, un altro dei momenti da ricordare di questo nuovo disco. 

 

Volevo magia è il nuovo album dei Verdena ed è probabilmente l’unico album che avrebbero potuto realizzare in questo momento. I tempi cambiano ma loro sono ancora qui, a fare le cose alla loro maniera e a farle benissimo, anche se forse questa volta facciamo più fatica del solito a capire dove vogliano andare a parare. Con qualche riserva, questo è un bel disco ed è probabile che tra qualche mese mi piacerà di più.

Sempre e comunque eccellenze assolute in Italia, assieme ad act più recenti come Iosonouncane e Andrea Laszlo De Simone, unici prodotti realmente esportabili del panorama musicale odierno.