Non credo si sia ancora riflettuto a sufficienza sulla straordinaria fortuna che il Metal sembra godere in Italia. Ci si lamenta spesso (io per lo meno lo faccio) dello scarso interesse che il pubblico di casa nostra ha per i nuovi artisti, preferendo il più delle volte affollare i concerti dei soliti nomi, normalmente quelli più grandi e conosciuti. Di Metal si parla poco, in queste disamine generiche, ma la verità è che tale genere costituisce una piacevole e particolare eccezione.
Sarà lo spirito di gruppo, il fatto che prima ancora che una tipologia di musica, gli appassionati condividono l’appartenenza ad una comunità con un proprio stile di vita e codici di comportamento; fatto sta che, cambiano i generi e le mode, ma il Metal sembra passarsela sempre piuttosto bene. Certo, non è più lo stesso di quando ero adolescente io: un certo tipo di Classic Heavy, debitore della NWOBHM e della sua declinazione americana, è da tempo fortemente in crisi, destino che condivide con il Power di matrice tedesca e con il Death Made in Florida di gente come Morbid Angel, Obituary, Deicide e Cannibal Corpse.
Hanno un bel dire gli appassionati più attempati che “quello di oggi non è vero Metal”: si tratta di una disputa generazionale presente in ogni ambito, non solo musicale, io stesso ne ho parlato più volte e non intendo ripetermi ora. Il succo, ad ogni modo, è che se certe tipologie metalliche che tanto piacevano trent’anni fa oggi non godono di ottima salute, ne sono al contempo nate delle altre, per certi versi antitetiche alle precedenti, e che hanno conquistato rapidamente le nuove generazioni.
Una di queste è senza dubbio il Neo Progressive, nella sua variante Djent, che semplificando al massimo può essere definita come l’unione di Metal Core e Prog Metal, con l’attenzione divisa equamente tra aperture melodiche e sfuriate estreme. Se da più parti sono indicati gli svedesi Meshuggah come capostipiti del genere (che però, almeno a mio parere, fanno storia a sé) i vari Architects, Periphery, Between the Buried and Me, Veil of Maya, Leprous, sono senza dubbio tra gli esempi migliori per definire una tendenza ancora relativamente giovane ma assolutamente di primo piano.
Il paradosso, a mio parere, sta proprio qui: non c’è niente di semplice in queste band, a parte una certa predilezione per le ruffianate in sede melodica, le strutture dei brani sono intricate e complesse, nulla che sia assimilabile con un ascolto distratto e superficiale come va di moda oggi. Ed il punto, quindi, potrebbe essere questo: proprio nell’epoca in cui la fruizione della musica non è mai stata così dispersiva, esiste tutto un insieme di band che richiede pazienza e dedizione, e queste puntualmente vengono ripagate da un numero sempre crescente di appassionati, soprattutto giovani (e questa è la vera notizia).
I TesseracT, pur essendo un nome relativamente recente, non fanno eccezione. In dodici anni il quintetto britannico ha saputo costruirsi una reputazione solidissima, fatta di album convincenti e di esibizioni live chirurgiche e devastanti.
War of Being, che senza contare gli EP è il loro quinto lavoro in studio, arriva dopo uno iato particolarmente ampio, riempito solamente da Portals, disco dal vivo senza pubblico, surrogato del tour annullato per pandemia, ma allo stesso tempo utilissima testimonianza di una discografia senza cedimenti o flessioni.
Decisamente più corposa del precedente Sonder, quest’ultima fatica si presenta con una copertina splendida, di chiara ispirazione Sci-Fi/Fantasy, creata in parte con l’aiuto dell’Intelligenza artificiale, ed è un concept album ambientato nel mondo di Strangeland ed incentrato sulle vicende di due esseri, “ex” ed “el”, che dovranno ritrovarsi dopo essere stati separati da un’entità malvagia di nome Fear. C’è senza dubbio molto di allegorico in questa trama, anche se poi, a leggere i testi, risulta assolutamente impossibile ricostruire la vicenda: niente affatto narrativi, di carattere fortemente introspettivo, sono senza dubbio suggestivi e ottimamente scritti ma lasciano tutto all’immaginazione dell’ascoltatore (neppure all’interno del booklet si trova qualche indicazione in più; ci sono solo delle ottime immagini che fanno capire, come del resto i video usciti nelle scorse settimane, che a livello di ambientazione siamo dalle parti di Star Wars, Dune e altre saghe di quel tipo).
A compendio del tutto è stato lanciato addirittura un videogioco, della realizzazione del quale dev’essersi occupato anche il cantante Daniel Tompkins, per cui immagino che chi ci giocherà avrà la possibilità di immergersi più a fondo nell’universo narrativo di Strangeland.
Per quanto mi riguarda, non posso far altro che concentrarmi sulla musica. Molto banalmente, direi che siamo al cospetto del miglior lavoro mai realizzato dai TesseracT. Se considerassimo Portals come un disco vero e proprio, e dicessimo che ha rappresentato finora il punto di osservazione migliore per giudicare il quintetto di Milton Keynes, dovremmo affermare che War of Being ha ora segnato un deciso scatto in avanti.
Tutto come al solito, le coordinate stilistiche non sono cambiate, ma è tutto potenziato, tutto più profondo e consapevole.
A livello tecnico siamo sempre su livelli altissimi, poliritmi, stacchi, cambi repentini di atmosfera sono all’ordine del giorno, così come l’alternanza costante tra sfuriate Metalcore e parti maggiormente contemplative, che a volte toccano l’Ambient (in particolare nei raccordi tra un brano e l’altro) ma che il più delle volte utilizzano fraseggi chitarristici di scuola Tool o soluzioni melodiche fatte proprie a suo tempo dagli Alice in Chains.
Niente assoli, ovviamente, a favore di un continuo sviluppo orizzontale dei brani, col contorno di un magnifico Sound Design a cura di Peter Miles e Randy Slaugh, che tra Synth, tastiere e qualche tocco leggero di elettronica, confezionano il vestito adatto a valorizzare l’atmosfera apocalittica e cinematica di questi nove pezzi. Pezzi che, mixati assieme come in un’unica suite, richiedono una dose massiccia di ascolti prima di essere assimilati a dovere (tutto come al solito, dunque) ma rivelano anche una sorprendente varietà di temi e suggestioni, come mai era avvenuto in un disco dei nostri.
Ruota tutto attorno agli undici magniloquenti minuti della title track, un’opera mastodontica dove è perfettamente declinato tutto lo scibile di questo lavoro; accanto ad essa trovano posto le soluzioni più catchy e moderniste di “Echoes” e “The Grey”, ritornelli immediati e quel poco di appeal radiofonico che una proposta così intricata può concedere. Anche “Tender” gioca la carta dell’airplay, ballata intensa e sufficientemente romantica, mentre in “Legions” e “Sirens” viene fuori tutta la classe di Daniel Tompkins, monumentale ovunque, ma che in queste due tracce spinge la sua voce oltre ogni limite, al servizio di brani che provano musicalmente ad aprirsi a spazi inesplorati, uno sforzo che da ultimo confluisce in “Sacrifice”, che unisce come non mai tecnicismi e teatralità, uno spiraglio aperto verso un possibile cammino di rinnovamento, per un genere che, come tutti, rischierebbe di accusare segni di stanchezza, se reiterato sempre alla stessa maniera.
Il chitarrista Acle Kahney si conferma ancora una volta come un ottimo songwriter, permettendo ai TesseracT di mostrare una via per suonare Metal nel 2023 senza sembrare ridicoli e fuori posto.
Con questo non voglio dire che oggi sia impossibile che i ragazzini si appassionino ad Helloween, Savatage e quant’altro. Semplicemente, War of Being possiede una freschezza che difficilmente le vecchie glorie si possono permettere; e parliamo comunque di un gruppo che ha anche lui i suoi anni sulle spalle.
Ci si vede a gennaio a Milano.