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REVIEWSLE RECENSIONI
02/04/2019
Weezer
Weezer (Black Album)
Gli Weezer in versione “total black” giocano con i generi, con loro stessi e anche con gli ascoltatori. Il risultato non convincerà di certo i fan ortodossi, ma chi se ne importa: il “Black Album” è un frizzante caleidoscopio musicale, un vero gioiellino Pop. Godiamocelo e basta.

Che gli Weezer fossero sul punto di pubblicare il Black Album, lo si sapeva già da tre anni, quando Rivers Cuomo, nel bel mezzo della promozione del White Album – un disco che ambiva ad aggiornare in chiave moderna le inquietudini californiane del Blue Album e di Pinkerton –, aveva anticipato di essere al lavoro sulla sua controparte oscura, pregna di sintetizzatori e atmosfere notturne. Poi le cose non sono andate secondo i piani e gli Weezer hanno accantonato le canzoni del Black Album in favore di due progetti che evidentemente si sono presentati alla band con un concept più forte e coeso rispetto al disco su cui stavano lavorando. Per cui prima è uscito Pacific Daydream, un’appendice del White Album, con le sue sonorità West Coast e quella giocosità Pop simile a Colors di Beck, e poi il Teal Album, un vero e proprio “instant record” nato sull’onda del successo della cover di “Africa” dei Toto, un lavoro talmente devoto alla musica FM anni Ottanta che avrebbe potuto benissimo intitolarsi anche “The Reagan Album”.

In una recente intervista, Cuomo ha affermato che un tempo di gestazione così prolungato alla fine dei conti ha giovato al Black Album, generando un lavoro più completo e a fuoco, con canzoni dall’identità più forte e definita. Ascoltando il disco, non si può che dargli ragione. In superficie, c’è tutto ciò che era stato anticipato tre anni fa (i sintetizzatori, le atmosfere notturne), ma il tutto è declinato in modo più rilassato e giocoso, come se l’album fosse la colonna sonora perfetta per una serata in giro per Los Angeles, rigorosamente in macchina. Per cui non deve stupire se mai come in questo Black Album gli Weezer – affiancati da Dave Sitek dei TV on the Radio alla produzione – giocano con i generi, divertendosi anche a scambiarsi gli strumenti, con il batterista Pat Wilson alla chitarra e al basso e il bassista Scott Shriner ai sintetizzatori. “Can’t Knock the Hustle” è un Funk in salsa Tex-Mex così assurdo che funziona (impossibile non canticchiare in loop l’«Hastaluego/adios» del ritornello); “High as a Kite” e “Piece of Cake” sono due gioiellini di piano Pop scuola McCartney; “Byzantine” flirta con la Lounge e la Bossanova; “The Prince Who Wanted Everything” è un pezzo Glam in tutto e per tutto; “Living in L.A.” e “I’m Just Being Honest” sono puro Power Pop à la The Cars; “Too Many Thoughts in My Head” inizia con una improbabile chitarra Flamenco per poi aprirsi in un ritornello stile Duran Duran; “California Snow”, con i suoi synth glaciali, è vicina alle cose fatte da Kanye West e Kid Cudi nel loro Kids See Ghosts; mentre “Zombie Bastards”, costruita sull’ukulele, ha un titolo che è già un meme e un ritornello appiccicoso così geniale («Keep on blah blah blah») che svela uno dei gradi segreti del perfetto pezzo Pop: la simbiosi tra slogan e melodia, dove il risultato è superiore alla somma delle parti e il testo è subordinato alla musica come fosse un male necessario.

Volutamente più variegato rispetto al White Album e a Pacific Daydream, il Black Album è un disco che continua sul percorso di ricerca intrapreso dagli Weezer una decina di anni fa con il Red Album, il primo disco dove Rivers & Co. hanno iniziato a sparigliare la carte e a guardare con attenzione alla musica Pop e a quello che succede ai piani alti delle classifiche Usa. La fan base più conservatrice (quella interpretata da Leslie Jones nello sketch andato in scena a novembre nel Saturday Night Live, il cui personaggio diceva: «Gli Weezer sono finiti quando Matt Sharp è uscito dal gruppo») ovviamente guarderà al Black Album con scetticismo, andando a rifugiarsi in quelle coperte di Linus che sono il Blue Album e Pinkerton. Fa parte del gioco e Rivers Cuomo lo sa benissimo, come sa benissimo che proprio Pinkerton, ora lodato ed elevato a capolavoro assoluto, è stato deriso con forza al momento della sua pubblicazione. Il tempo è galantuomo e sicuramente sarà così anche per il Black Album: è uno dei migliori album degli Weezer anni Duemiladieci e la sua voluta erraticità ne fa un prodotto riuscito e godibilissimo.

Gli Weezer quando vogliono fare gli Weezer lo fanno a occhi chiusi e il recente Everything Will Be Alright in the End (prodotto da Ric Ocasek secondo tutti i canoni Weezer) è lì a dimostrarlo. Probabilmente il prossimo passo di Rivers & Co. sarà nuovamente indirizzato verso il Power Pop chitarristico (Cuomo lo ha già annunciato, titolo di lavorazione: Van Weezer), ma intanto godiamoci questo gioiellino Pop. Ne vale la pena.