Cerca

logo
REVIEWSLE RECENSIONI
11/09/2017
Walter Trout
We’re All In This Together
Questo nuovo We’re All In This Together rappresenta un ulteriore passo avanti, il lieto fine di una favola che assume i connotati di un inno alla gioia di vivere: una grande festa organizzata da Trout, invitando tutti i migliori chitarristi in circolazione, per celebrare il potere salvifico della musica

A volte i miracoli succedono, e chi non ci credere vada a leggersi la storia di Walter Trout. Nel 2014, il leggendario chitarrista del New Jersey (oltre a un’eccellente carriera solista, Trout ha militato nei Canned Heat e negli Heartbreakers di John Mayall), era a due passi dalla morte. Chiuso in una stanza d’ospedale, a causa di una devastante cirrosi epatica, Walter attendeva un trapianto di fegato che non arrivava. Un’operazione costosissima, che potè affrontare solo con il contributo dei suoi fans, grazie a un progetto di crowfunding, con cui i suoi estimatori riuscirono a raccogliere i fondi per sostenere le spese sanitarie. La lenta guarigione e il tormento della malattia furono raccontate in Battle Scars, album del 2015, vincitore di due Blues Music Awards, che rielaborava il dolore ed esorcizzava la paura della morte. Il successivo Live In Amsterdam, pubblicato lo scorso anno, certificava il ritorno sulle scene e il ritorno alla vita, confermando uno stato di forma stupefacente per chi solo qualche tempo prima si era trovato a giocare a scacchi la sua partita con la morte. Questo nuovo We’re All In This Together rappresenta un ulteriore passo avanti, il lieto fine di una favola che assume i connotati di un inno alla gioia di vivere: una grande festa organizzata da Trout, invitando tutti i migliori chitarristi in circolazione (e non solo), per celebrare il potere salvifico della musica. Trout è in forma smagliante e se la gioca ad armi pari con tutti i suoi ospiti, dando vita a una pioggia torrenziale di rock blues ad altissimo tasso energetico. Si parte con lo shuffle cadenzato di Gonna Hurt Like Hell, con Kenny Wayne Sheperd a fare da sparring partner in un duetto di adrenalina pura. Ain’t Goin’ Back è un altro gioiellino dagli accenti sudisti, in cui Walter dardeggia note con il mago della slide, Sonny Landreth, in quattro minuti e mezzo di tecnica e sudore. In The Other Side Of The Pillow, classicissimo blues chicagoano, arriva Charlie Musselwithe, leggendario armonicista e primo ospite senza la sei corde a tracolla. Tutto talmente bello che potrebbe bastare così. E invece, il meglio deve ancora arrivare. She Listens To The Blackbird Sing, in compagnia di Mike Zito, è uno straordinario brano southern, che suona come un outtakes da Brothers And Sisters degli Allman Brothers Band; The Sky Is Crying, ever green già rimasticato da Stevie Ray Vaughn e Gary Moore, è qui riproposto con Warren Haynes, in un alchimia di chitarre e voci di un’intensità che lascia basiti; She Steals My Heart Away mischia leggermente le carte con uno splendido ballatone soul, corroborato dal sax di Edgard Winter (fratello del più celebre e compianto Johnny). La title track, un torrido slow blues, in cui Walter Trout e Joe Bonamassa fanno a gara a chi ce l'ha più lungo (l'assolo), chiude una scaletta di settanta minuti di musica appassionata, con il grande chitarrista del New Jersey a celebrare un’inaspettata seconda giovinezza. Disco pressoché perfetto e un vero e proprio istant classic per tutti coloro che amano la chitarra elettrica.