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REVIEWSLE RECENSIONI
31/12/2020
Belle and Sebastian
What To Look For In Summer
Sembra assurdo ma in venticinque anni di carriera i Belle & Sebastian non avevano ancora pubblicato un disco dal vivo.

Un dato più unico che raro nella storia della musica ma ancora più inspiegabile se si pensa ad un gruppo come il loro, che pur non essendo composto da mostri di precisione, ha sempre concepito i propri concerti come delle feste divertenti e rumorose, sorta di celebrazione collettiva dello stare insieme tra pubblico e band, che senza dubbio sarebbe stato interessante documentare.

Ora che questa lacuna è stata finalmente colmata, si può dire senza problemi che, purtroppo, è successo fuori tempo massimo.

La band scozzese non è più quella fabbrica di meraviglie che era agli esordi, quando sfoderava dischi perfetti fatti di malinconia agrodolce e amori adolescenziali, con una scrittura che declinava il Pop britannico in una dimensione minimale e una capacità strabiliante di giocare con le melodie.

Le ultime vicissitudini di Stuart Murdoch e soci hanno raccontato la storia di una band che pur non limitandosi a riproporre i fasti del passato, non è riuscita a produrre cose altrettanto “classiche” ed è finita nel limbo di quegli act che hanno ormai perso qualunque velleità di interagire con la storia e si limitano a portare avanti un discorso a beneficio dei fan e ovviamente di loro stessi.

“What to Look for in Summer” è un doppio cd, contiene 22 canzoni e dura quasi due ore: direi che ne abbiamo abbastanza per superare il digiuno di questi anni. È stato registrato durante l’ultimo tour, quello del 2019, che non ha toccato l’Italia (nel nostro paese li abbiamo visti l’ultima volta nel febbraio 2018, a Bologna e a Milano) ma che ha visto l’iniziativa del Boaty Weekender, l’ormai consolidata formula della nave da crociera con concerto incorporato, tre show diversi durante un viaggio che se non vado errato deve aver toccato anche la Sardegna.

Non è stata documentata una sola sera ma si è compilata una setlist ideale da alcune date selezionate tra cui anche quelle sulla nave, come si evince da qualche battuta di Stuart tra un pezzo e l’altro. Inevitabile che non sia proprio del tutto esaustivo e che qualcosa sia andato perduto, visto che abbiamo a che fare con un gruppo che bene o male cambia scaletta ogni sera.

Il criterio adottato, comunque, è abbastanza scontato: il più possibile dai vecchi dischi e solo qualche estratto qua e là dalle ultime cose. Non è certo casuale che ci sia un solo brano dalla raccolta di Ep “How To Solve Our Human Problems” e addirittura nulla dall’ultimo lavoro, la colonna sonora del film “Days of The Bagnold Summer” (da cui comunque era già stato proposto poco durante il tour). Alquanto rivelatrice è poi la totale latitanza di “Girls in Peacetime Wants to Dance”, il disco che nel 2015 era stato un po’ la pietra dello scandalo tra la community più affezionata, improntato com’era su sonorità sfacciatamente “Disco” e per questo accusato da più parti di aver tradito il trademark originario del gruppo. Considerato che alcuni brani di quel lavoro da anni fanno parte delle setlist dei nostri, la loro assenza non può non instillare certe maliziose domande.

Lasciando perdere le dietrologie ed entrando nel vivo dei contenuti, alcune cose funzionano, altre meno. Il repertorio è senza dubbio di prim’ordine: ci sono classici suonati spesso come “Seeing Other People”, “The Fox In the Snow”, “Step Into My Office Baby”, “If She Wants Me”, “The Boy With The Arab Strap”, altri meno frequentati come “If You’re Feeling Sinister”, “The Boy Done Wrong Again”, “Beyond The Sun” o “Dirty Dream Number Two”, episodi relativamente recenti ma ancora di ottimo livello (per esempio diverse cose da “Write About Love”, un disco che funziona ancora molto bene a distanza di anni) e le immancabili testimonianze dal passato remoto (ci si spinge fino a ripescare “My Wandering Days Are Over” e addirittura una “Belle and Sebastian” direttamente dalle sabbie del tempo). 

Meno bene sul fronte della performance: i nostri non sono mai stati dei mostri sulle assi del palcoscenico ma qui, sarà il missaggio, sarà una resa sonora fin troppo grezza, ma soprattutto nelle prime battute sembra che ognuno vada per conto proprio. I fiati si inseriscono un po’ a caso, la voce di Stuart è a volte in difficoltà e tende spesso a coprire tutto il resto, Sarah Martin ogni tanto sfasa, alcune cose sono un po’ troppo rumorose e la sensazione di casino infernale tende a fare capolino più di una volta.

Se si vuole vedere il bicchiere mezzo pieno, non è poi un gran problema: abbiamo pur sempre tra le mani la testimonianza di un gruppo che sul palco si diverte e fa divertire (i divertenti scambi di battute tra una canzone e l’altra lo mettono bene in chiaro)  e che suona i vecchi brani in un modo che magari non sarà impeccabile ma che è comunque figlio dell’entusiasmo che li ha sempre contraddistinti. Ecco, fosse uscito anche in formato dvd sarebbe stato meglio perché la componente visiva nel loro caso è davvero molto importante.

Ripeto: era un live che mancava ma che sarebbe dovuto arrivare quindici anni fa al più tardi. I fan lo compreranno a scatola chiusa, chi non li conoscesse e fosse curioso farebbe invece meglio a recuperare in blocco i primi tre album e la raccolta “Push Barman To Open Old Wounds”. Dopodiché aspetteremo che questa maledetta pandemia finisca e ci ritroveremo tutti sotto al palco la prossima volta che passeranno da noi.


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