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REVIEWSLE RECENSIONI
25/01/2019
Papa Roach
Who Do You Trust?
I Papa Roach non si fanno attendere e portano alla luce uno dei loro album meno canonici, esito della continua e giocosa curiosità nel volersi misurare con quello che di nuovo popola il mondo.

I Papa Roach non hanno certo bisogno di presentazioni. Formati a Vacaville, California, nel 1993, si sono fatti conoscere al grande pubblico sin dal 2000, con l’album Infest, da cui ancora oggi radio e dj scelgono la hit “Last Resort”. Partiti con sonorità più spiccatamente nu metal, già dal terzo album (Lovehatetragedy, 2002) iniziano a sperimentare, spostandosi più verso un rock alternative o alternative metal melodico e scalando sempre più le classifiche.

Da quattro ragazzini del liceo che scelsero per la propria piccola band il nome Papa Roach, nato dall’unione del soprannome (Papa) e del cognome (Roatch, abbreviato in Roach) di un nonno di Jacoby Shaddix (cantante), nel giro di dieci anni arrivarono a conquistare dischi d’oro (Lovehatetragedy, 2002) e di platino (Getting Away With Murder, 2004), per un bilancio complessivo di circa 18 milioni di dischi venduti in 25 anni, di cui la metà nei soli Stati Uniti.

Nonostante la visibilità possa essere maggiore o inferiore a seconda delle mode, i fan e le classifiche hanno sempre potuto contare su di un loro album ogni due o tre anni. In questo caso, il tempo trascorso dall’ultimo successo è stato particolarmente breve, visto che solo nel 2017 la band aveva prodotto l’ottimo Crooked Teeth, particolarmente amato anche dai fan della prima ora, che avevano ritrovato nei Roach un sound rinnovato ma al tempo stesso aggressivo e caratteristico.

Nulla obbligava la band ad annunciare un nuovo album già dalla fine del 2018, facendo uscire nel giro di pochi mesi ben 4 singoli sulle 12 tracce di cui è composto Who Do You Trust? ma, soprattutto, nessuno obbligava i ragazzi a rinnovare il loro sound sotto diversi aspetti, sperimentando possibilità che fino a pochi mesi prima non si sarebbe pensato avrebbero potuto emergere dalle loro capacità compositive.

I Papa Roach hanno sempre inglobato sia sonorità più proprie delle loro origini sia suoni più moderni, osservando attentamente ciò che si muoveva nel mondo attorno a loro e rinnovando costantemente, moderatamente e con attenzione il prodotto offerto al pubblico, di modo che fosse sempre riconoscibile ma moderno. Una formula che non sempre incontra i gusti dei fan più duri e puri, ma che permette alla band di non sembrare sempre la copia stanca e sbiadita di se stessa (destino che ha colpito più gruppi di quanti ne possano venire in mente, soprattutto nel mondo del rock e del metal).

Così, arrivati al decimo album della loro carriera, i Papa Roach hanno voluto correre dei rischi ancora più alti di quanto si potesse prevedere. Si sono fatti ispirare dai generi che più hanno ascoltato negli ultimi periodi e hanno lanciato una sfida a se stessi e ai fan, per capire fino a dove avrebbero potuto spingersi e per divertirsi un po’ al di fuori della loro consolidata comfort zone.

Aiutati nuovamente dai produttori Nicholas Furlong, Colin Brittain e Jason Evigan, i quattro ragazzi hanno giocato con elettronica, pop, rap e rock alternative, mescolandoli a dosi variabili del classico sound “à la Papa Roach”.

Il risultato è Who Do You Trust?, un disco interessante, particolarmente piacevole, ma non sempre all’altezza delle aspettative e delle possibilità. L’apertura di “The Ending” è di tutto rispetto, esplosiva e massicciamente elettronica, e fa ben sperare sulla prosecuzione, che scivola via rapida con l’infilata dei quattro ottimi singoli: due più classici e riconducibili alle canoniche sonorità Roach (“Renegade Music” e “Who Do You Trust?”) e due più innovativi: la melodica e accattivante “Not The Only One” e la modernissima “Elevate”, i cui ritornelli tornano alla mente più di qualche volta. Passata la prima cinquina, però, le cose iniziano a farsi più difficili.

“Come Around”, “Feel Like Home” e “Problems” rallentano di molto il ritmo, unendo più pop ed “emozione-da-cuore-in-mano” di quanto non sarebbe stato ragionevole immaginare. Il risultato non è di certo brutto e singolarmente le tracce possono sicuramente dirsi ben pensate e melodicamente molto piacevoli, ma ascoltate tutte insieme diventano semplicemente un po’ troppo per il complesso dell’album.

La risalita comincia con la successiva “Top of the World”, che torna nel territorio del rap e dell’elettronica, in cui il desiderio di sperimentazione dei Papa Roach risulta sicuramente più riuscito ed innovativo, oltre che nell’interessante “Maniac”, lenta ma pesante, dove l’emotività prende delle tinte decisamente meno scontate delle precedenti. Tra queste due canzoni si colloca la stupenda “I Suffer Well”, una delle migliori boccate d’aria fresca del disco: un minuto e venti di punk-hardcore lanciato a piena velocità, per il quale ci si chiede se la voglia di qualcosa di nuovo non avesse potuto vertere di più anche su questo fronte, visti i risultati che si potrebbero raggiungere. La chiusura, invece, è lasciata a “Better Than Life”, che sapientemente riprende i synth della traccia d’apertura, regalando all’ascoltatore una piacevole sensazione di circolarità.

In sintesi, Who Do You Trust? si rivela un album vario e piacevole, non sempre completamente a fuoco, ma sicuramente moderno e sperimentale, se non altro per i canoni di un gruppo come i Papa Roach, che hanno dimostrato un coraggio non indifferente nel presentare al loro ampio pubblico gli esiti della loro ricerca di innovazione e della loro continua e onesta curiosità verso la musica che abita le classifiche dei giorni d’oggi, che si sono semplicemente divertiti a rimodulare e ripresentare a proprio modo.

Who Do You Trust? sarà sicuramente divisivo e certamente non raggiungerà le vette conquistate da altri loro album, ma testimonia se non altro la maturità e la libertà d’azione e di scelta che una band è ancora capace di regalarsi dopo 25 anni di carriera. E questo non può che meritare rispetto.