Una giovane ragazza, morta, in mezzo al nulla, nella neve.
Segni di violenza, di percosse, anche se la causa della morte è l'assideramento.
Da dove e da chi scappava? Quanto ha resistito prima che i suoi polmoni collassassero con la temperatura di -20°?
Siamo nel più desolato Wyoming, dove si muore di freddo, dove ci si consola con facilità con l'alcool o le droghe, dove la riserva indiana di Wind River deve fare i conti con un altro morto della sua comunità, come se non bastasse il vivere in una terra tanto sconsolata.
A cercare il colpevole, l'FBI non si preoccupa più di tanto e manda un'agente novello come Jane Banner, impreparata tanto a gestire la sua prima indagine, quanto il gelo e la tempesta di neve che imperversa.
Ma persevera lei, Jane, e capisce che deve affidarsi allo sceriffo Ben, con il suo fare paterno, e all'esperto cacciatore Cory, dall'intuito infallibile, che a scovare il colpevole ci tiene più di ogni altro, per un passato comune, per un presente non certo felice.
C'è da aspettarsi il solito polveroso giallo, fatto di indagini, di false piste e di nuovi indizi.
C'è da aspettarsi che qualcosa, tra un'agente novello e un duro come Cory, scatti, mentre entrambi smussano i loro angoli, mentre si avvicinano e si conoscono meglio, confessando quel passato che resta un trauma.
Insomma, niente più del solito film crime, che sa come giocare le sue carte.
Wind River invece sorprende.
E non perché esce da binari prefissati, ma perché nella sua solidità piglia e non molla mai.
È importante tanto scoprire il come e il chi, quanto conoscere meglio chi si incarica delle indagini.
È importante lo sviluppo della trama, quanto la forma di dialoghi taglienti, di confessioni a cuore aperto, di frasi che restano come incise nella pietra.
La mano di Taylor Sheridan la si riconosce.
È la stessa che già ha affrontato frontiere americane diverse, che ha preso il genere western e l'ha modellato al confine messicano in Sicario, alla polvere del Texas di Hell or High Water, e infine alla neve di questo Wind River, per cui firma anche la regia, e nel suo esordio viene giustamente premiato a Cannes nella sezione “Un certain regard”.
Ce la fa sentire tutta, la neve del Wyoming, la desolazione di una paese e di una comunità che sembra abbandonata a se stessa, il freddo di certi personaggi incapaci di andare avanti.
Ci fa sentire il dramma di una morte su cui si vuole sapere di più, e che quando ci viene mostrata, non può che far male da una parte, sorprendere dall'altra, con un flashback inserito ad opera d'arte.
Sorprende pure Jeremy Renner, attore mai amato particolarmente da queste parti, ma che dopo Arrival, si cuce addosso il personaggio che gli sta meglio: quello della spalla su cui piangere e affidarsi, su cui la giovane Elizabeth Olsen può contare.
Wind River sa così come essere imprevedibile pur nella sua prevedibilità, lasciando fuori - o forse no - i buoni sentimenti, modellandosi nella neve, nella sua solidità.