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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
12/06/2025
Live Report
Wunderhorse, 11/06/2025, Circolo Magnolia, Milano
I Wunderhorse sono una band dalle indubbie potenzialità commerciali capaci di live di altissimo livello, seppur purtroppo troppo brevi rispetto a quanto si vorrebbe. Il repertorio stellare del quartetto della Cornovaglia dà il suo meglio dal vivo e, se non li avete mai visti, per la prossima volta segnateveli che non ve ne pentirete.

Il successo che i Wunderhorse stanno ottenendo nel nostro paese potrebbe definirsi quantomeno sorprendente. Midas, il loro secondo disco, uscito l’anno scorso, non sembrava aver avuto chissà quale diffusione tra pubblico e addetti ai lavori, e nonostante la loro apertura ai Fontaines D.C. lo scorso novembre avesse fatto registrare un certo entusiasmo, nonché la presenza di un ristretto gruppo di fan, non mi sarei mai aspettato che la loro prima data italiana in veste di headliner sarebbe andata sold out.

Vero che del Circolo Magnolia è allestito il palco piccolo, ma l’affluenza risulta ugualmente notevole, con una larghissima presenza di giovani, dato che sembrerebbe certificare il gruppo come una realtà decisamente trendy.

 

Ad aprire ci sono gli overpass, da Birmingham, che si sono fatti notare nell’ultimo anno e mezzo con due ottimi EP, From the Night, e Dependent, quest’ultimo uscito lo scorso febbraio, nonché con una manciata di singoli di pregevole fattura.

Il loro Indie Rock dalle fortissime influenze Nineties mette assieme un po’ tutto quello che dominava le classifiche nel passaggio tra i due millenni: non c’è assolutamente nulla di originale ma il modo in cui infilano una melodia dopo l’altra e riescono a tenere sempre alta la soglia di attenzione è davvero fuori dal comune. “3 AM”, “Take it or Leave It”, “Slow”, “Stay Up”, “Beautiful” sono canzoni da manuale, veri e propri inni da cameretta, solari e malinconici al tempo stesso, che se fossero usciti nell’epoca d’oro sarebbero andati in heavy rotation pressoché ovunque. Aggiungiamoci due inediti strepitosi come “Sandman” e “Union Station”, e possiamo metterci comodi ad aspettare il disco d’esordio. Sono giovanissimi, eppure sul palco se la cavano già benissimo, riducendo ad offrire una performance energica e molto coinvolgente, che ha il solo difetto di durare troppo poco. Teniamoli d’occhio.

 

I Wunderhorse fanno il loro ingresso sulle note di “Wouldn’t It Be Nice”, scelta per omaggiare Brian Wilson, scomparso proprio poche ore prima. Pochi istanti per prendere posizione e poi “Midas” dà il via al concerto, ruvida e tiratissima, col pubblico che scandisce a gran voce il ritornello.

L’impressione è la stessa che avevo già avuto vedendoli all’Alcatraz quest’autunno: dal vivo abbandonano ogni tono leggero e vagamente patinato, per trasformarsi in una macchina da guerra precisa e compatta, con la sezione ritmica che spinge tantissimo (curiosità: il nuovo bassista è Seb Byford, il figlio del celebre Biff, cantante dei Saxon) e le chitarre potenti e aggressive quanto basta (Harry Fowler ha uno stile lineare e semplicissimo ma si fa notare per i piacevoli fraseggi). Jacob Slater, seppur limitato nei movimenti dalla chitarra, è un frontman più che convincente e la sua resa vocale è superba.

Tutto il gruppo trasmette elettricità e tensione, le varie esecuzioni si susseguono a ritmo serrato ed anche i brani che in studio appaiono più lenti e melodici, qui ottengono un trattamento decisamente più grezzo e potente. Pochi fronzoli, poco o nessuno spazio per saluti e parole, preferiscono prendersi qualche secondo di riflessione tra un brano e l’altro, oppure introdurre alcuni episodi con interludi strumentali che lasciano gradualmente il posto al tema principale (è il caso ad esempio di “Girl Behind the Glass” e di “Arizona”).

Il quartetto della Cornovaglia può vantare un repertorio stellare, con canzoni che affondano negli anni ’90 e che citano a più riprese senza troppo preoccuparsi di nascondere le influenze (“Butterflies” assomiglia alle prime cose dei Radiohead, “Cathedrals” e “Arizona” devono qualcosa al songbook di Springsteen). In un repertorio ancora piuttosto esiguo, ci sono potenziali hit single (“Emily”, “Girl” e “Silver” sono inni esplosivi), simil ballate dall’eccellente progressione melodica (“Teal” e “Purple” dal primo disco Cub, oltretutto tra le migliori esecuzioni della serata) e mid tempo granitici e terribilmente groovy (“Leader of the Pack”, il nuovissimo singolo “The Rope”, recentemente presentato al Later with Jools Holland).

 

Il pubblico canta, salta e un po’ poga, l’atteggiamento è quello esagitato ed entusiasta tipico degli universitari fuori sede (ci sono comunque anche tanti stranieri, come ormai d’abitudine a Milano), ci sono troppi telefonini e gente palesemente alticcia: il quadro tipico di una band in sicura ascesa verso il mainstream, insomma.

Dopo una splendida versione di “Rain”, corredata da un lungo intermezzo di improvvisazione dal sapore noise, i nostri salutano e lasciano il palco, senza tornare neppure per un bis. Sconcerto e delusione tra i presenti, molti dei quali rimangono accalcati sotto al palco anche dopo che “Say it Aint’t So”, il brano degli Weezer che usano sempre come sigla di chiusura, è ormai finita.

Un’ora scarsa di concerto, seppure di altissimo livello, è decisamente poco anche per un gruppo con poco più di una ventina di canzoni all’attivo: spulciando le scalette delle altre date si è notato come questa sera sia stato leggermente più corto del loro standard, per cui la delusione è comprensibile. Al di là di questo, i Wunderhorse si sono dimostrati una band dalle indubbie potenzialità commerciali e non ci stupiremo di certo se dovessimo ritrovarceli in futuro davanti a platee più ampie: speriamo solo che giochino bene le loro carte perché approdare al mainstream non vuol dire per forza di cose mantenere alta la qualità…

 

Photo credits: Carlo Pinchetti