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REVIEWSLE RECENSIONI
Yay!
Motorpsycho
2023  (Stickman Records )
PSICHEDELIA ALTERNATIVE AMERICANA/FOLK/COUNTRY/SONGWRITERS ROCK
7/10
all REVIEWS
19/07/2023
Motorpsycho
Yay!
Il giudizio su "Yay!", l'ultimo album dei Motorpsycho (che si focalizza interamente sulle sonorità più acustiche della band), è lo stesso di ogni loro album da dieci anni a questa parte: imperdibile per i fan, trascurabile per tutti gli altri.

Il punto interrogativo dopo il nome del gruppo, all’interno peraltro di una copertina dalle forti suggestioni fumettistiche, parrebbe funzionare come una sorta di dubbio esistenziale: sono ancora i Motorpsycho, quelli che si accingono a farci ascoltare il loro ennesimo disco in studio (ormai sono talmente tanti che anche la semplice azione di contarli pare essere divenuta totalmente oziosa)?

Che la risposta debba essere affermativa può essere chiaro a tutti coloro che hanno anche solo un minimo di dimestichezza col gruppo norvegese. Yay! si focalizza interamente su quelle sonorità acustiche che nel repertorio del gruppo compaiono sin dai tempi di Demon Box e che sono state esplorate e sviscerate soprattutto nella trilogia di inizio anni Duemila Let Them Eat Cake, Phanerothyme (forse il lavoro a cui questo Yay! è più simile, se non altro nelle intenzioni) e It’s a Love Cult.

Composizioni più brevi ed improntante ad un sound maggiormente bucolico hanno dato respiro anche ai lunghissimi tour de force degli ultimi dischi, quelli che, almeno da Here Be Monsters (2016) hanno visto il trio (oggi ridotto a duo) cimentarsi in infinite variazioni sul tema del solito Heavy Rock dalle strutture progressive, in bilico costante tra Stoner e psichedelia.

Una formula che, per quanto priva di cali di tensione sostanziali, si è fatta col passare del tempo sempre più ripetitiva, un affare per soli completisti che ha in parte offuscato l’aura semidivina che da sempre li circonda.

Ben venga dunque un lavoro come questo, dalla durata contenuta (42 minuti) e dalle sonorità più leggere, che ci permette di prendere fiato in attesa del prossimo monstre da settanta e più minuti.

 

Composte interamente da Bent Sæther e prodotte dall’accoppiata Reine Fiske/Lars Fredrik Swahn, queste dieci canzoni riescono solo in parte nell’intento. È infatti chiaro come nell’universo Motorpsycho sia ormai stato detto tutto il dicibile e come non ci sia davvero più nulla da inventare e reinventare.

Ogni soluzione è stata esplorata nei minimi particolari, l’unica cosa che ancora rimane da fare è scrivere e registrare belle canzoni; in questo, per fortuna, Bent e Snah non hanno perso lo smalto. “Cold & Bored” e “Sentinels” sviluppano alla grande il tema del Folk acustico a cavallo tra ’60 e ’70, segnalandosi per un ottimo lavoro di arrangiamento, soprattutto nell’equilibrio dell’impasto vocale e nel semplice ed efficace lavoro percussivo (i Motorpsycho non hanno più un membro stabile alla batteria, a questo giro c’è sempre Tomas Järmir come negli ultimi anni).

“Patterns” e “Dank State” sono un po’ più elaborate nella struttura, con qualche sporadico richiamo al Canterbury Sound. “W.C.A.” (che sta per “What Comes After”) funziona da potenziale singolo, con un ritornello tirato ed efficace come nella loro migliore tradizione.

“Real Again (Norway Shrugs and Stay At Home)” e “Loch Meaninglessness & The Mull of Dull” sono senza dubbio più interessanti nel titolo che nello svolgimento, due brevi schizzi per chitarra e voce da destinare immediatamente nel purtroppo non piccolo archivio delle canzoni dei norvegesi che non ricorderemo a lungo; esercizio di stile, nulla più.

Tralasciando del tutto l’intermezzo strumentale “Scaredcrow”, va a finire che il materiale più solido ce lo ritroviamo in coda: “Hotel Daedalus” recupera in parte le atmosfere psichedeliche, irrobustisce il sound e presenta una riuscitissima parte strumentale nel mezzo, memore delle lisergiche cavalcate che giusto un anno fa ammiravamo su Ancient Astronauts. Senso di déjà vu insopprimibile ma una traccia davvero interessante, ennesima dimostrazione che si può essere manieristi senza sacrificare lo spessore. Stesso discorso per la conclusiva “The Rapture”, che mette la parola fine ad un lavoro non indispensabile ma di sicuro riuscito.

 

Il giudizio è quello che ho espresso all’inizio ed è esattamente lo stesso di ogni album dei Motorpsycho da dieci anni a questa parte: imperdibile per i fan, trascurabile per tutti gli altri, a meno che non conosciate la band e decidiate di scoprirla partendo dall’ultimo lavoro; che è una possibilità, intendiamoci, basta che teniate presente che è con le uscite degli anni ’90 che Bent Sæther e Hans Magnus Ryan si sono ritagliati per sempre un posto nella storia.

Adesso prepariamoci per l’ennesimo tour, che si presenta interessante soprattutto per capire quanto queste nuove canzoni influiranno nell’economia generale dello show.