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REVIEWSLE RECENSIONI
16/03/2023
Rumba de Bodas
Yen Ko
Con “Yen Ko” i Rumba de Bodas hanno deciso di deviare un po’ dalla via maestra mischiando le carte in tavola. Invece di continuare sulla strada del Funk Soul, che avrebbe portato con sé un alto rischio di ripetitività, hanno deciso di inseguire quella dell’Afrobeat, tornando così – in un certo senso – alle radici.

Sono ormai quindici anni che i Rumba de Bodas sono sul mercato e di strada ne hanno fatta un bel po’. La band infatti vanta collaborazioni di assoluto livello e ha suonato al Montreaux Jazz Festival, al Boomtown Fair, al Fusion Festival, all’Edinburgh Jazz Festival, al Cous Cous Fest e perfino al Seoul Music Week. Inoltre il nuovo tour è cominciato all’Estragon di Bologna e arriverà fino al Cile, passando per Spagna, Germania, Inghilterra e Messico. Non male per una band che è partita da Bologna.

La prima cosa che colpisce dei Rumba de Bodas è che in questi anni di attività sono riusciti senza troppi fuochi d’artificio mediatici a ritagliarsi una discreta nicchia di mercato, sia a Bologna (dove i loro concerti sono sempre sold out) sia nel resto d’Italia e d’Europa. Questo è riuscito loro grazie ai due cardini attorno ai quali ruota la loro proposta: il desiderio di far ballare il pubblico e una musica scritta e suonata molto bene. Sembra una cosa quasi banale da dire, ma nel loro caso si può affermare che ne abbiano fatto quasi una religione. Questo lo si può sentire già dal primo disco, Just Married, pubblicato nel lontano 2012, quando con loro militava ancora Matilda De Angelis, nel quale si sente già un mix di sonorità tutte accomunate da un unico aspetto: il groove.

La loro fede non è cambiata e anzi si è rafforzata con il loro terzo disco, Super Power, pubblicato nel 2018. In quel frangente la formazione della band evolve e accoglie fra le sue fila la magnifica voce di Rachel Doe, che riesce ad aggiungere al progetto un sapore che prima un po’ mancava, ovvero quello delle grandi voci della musica Black. In quel disco si percepisce che la loro matrice Funk e Soul prende il sopravvento e, sebbene non manchino brani che puntano più a un panorama Latino e Reggae, il fil rouge è molto chiaro: suoni grossi, groove travolgente e molto lineare.

Per colpa della pandemia, Super Power è stato portato in giro molto e probabilmente ha ritardato un po’ l’uscita del loro nuovo disco, Yen Ko, pubblicato lo scorso 3 marzo per Rubik Media. Quello che mi ha incuriosito quando li ho sentiti suonare era che, sebbene fosse evidente nella loro musica una chiara matrice Funk Soul, in alcuni brani emergeva una piacevole matrice Afro, che però non era sviluppata nei dischi.

Con Yen Ko i Rumba hanno deciso di deviare un po’ dalla via maestra mischiando le carte in tavola. Invece di continuare sulla strada del Funk Soul, che avrebbe portato con sé un alto rischio di ripetitività, hanno deciso di inseguire quella dell’Afrobeat, tornando così – in un certo senso – alle radici.

Attenzione: la loro anima danzereccia non è scomparsa; anzi, si è mescolata con quella dell’Afrobeat, creando un disco molto diverte, magari meno “da saltare”, ma che affonda molto di più le mani nelle sonorità africane, rendendolo decisamente più interessante, anche alle orecchie di chi è più abituato a un ascolto “riflessivo” e non da dancefloor.

Agli elementi di partenza (batteria, basso e tastiere fanno da colonne portanti) ci sono alcune aggiunte di grande interesse, che in questo disco si fanno molto sentire: da un lato una maggior presenza della chitarra in fase di fraseggio e di riff, e dall’altro la nuova sezione fiati, che si rivela parte fondamentale del sound della band.

I brani di Yen Ko si fondano sul lavoro svolto dalla sezione ritmica composta da Alessandro Orefice e Giacomo Vianello, la cui prestazione è davvero solidissima e travolgente. Giacomo riveste però un doppio ruolo, perché oltre al basso suona anche le percussioni. A loro si aggiunge Mattia Franceschini, che si occupa delle tastiere e dei synth, e che grazie alla presenza della chitarra riesce a spaziare molto di più con il suo strumento, creando ambienti sonori molto belli. Per concludere, le due “voci” del gruppo: la cantante Rachel Doe e la sezione fiati composta da Kim Gianesini e Fabio Scalmana.

Il disco è una bella cavalcata nella musica Afro, rivista secondo la visione dei Rumba de Bodas. L’apice lo si raggiunge con i pezzi “Isole” (tra l’altro l’unico in italiano), “Chale” e “Krabu”. Il primo colpisce perché è un mix perfetto tra ritmo, sonorità Afro e Rock, che riescono a valorizzare tantissimo la voce di Rachel. Gli altri due, invece, sono probabilmente i brani più belli, perché sono quelli dove la matrice Afrobeat viene esplorata più in profondità. Non a caso entrambi vantano due collaborazioni: in “Chale” troviamo  i Newen Afrobeat mentre in “Krabu” c’è il percussionista Kalifa Kone, che ci regala un assolo di djembé davvero spaziale.

In conclusione, i Rumba de Bodas sono stati coraggiosi, hanno cambiato strada e si sono evoluti, donando al mondo un disco che è davvero un piacere ascoltare. Dal momento che dal vivo si rivolgono a un pubblico internazionale e non più solamente italiano (basta dare un’occhiata alle città toccate dai loro tour), con Yen Ko i Rumba de Bodas hanno fatto la stessa cosa, tanto che hanno deciso di includere un solo brano in italiano. Questo atteggiamento fa solo del bene alla musica italiana, a cui si augura di dismettere il solito provincialismo e la solita retorica per cui sembra che se sei italiano puoi solo sperare di avere successo nel tuo paese. Niente di più sbagliato. Insomma, bravi regaz!