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REVIEWSLE RECENSIONI
15/04/2019
Marvin Gaye
You're The Man
Perso nei rivoli del tempo, distillato come le gocce di un liquore nel corso degli anni, vede finalmente la luce “You’re The Man”, il lost album di Marvin Gaye, che sarebbe dovuto uscire nel 1972, seguito del monumentale What’s Going On.

In realtà non un vero e proprio album perduto, in quanto alcune delle canzoni ivi contenute sono uscite nel corso degli anni successivi in varie raccolte del nostro, qui però possiamo ascoltare per la prima volta alcuni inediti. Album travagliatissimo questo “You’re The Man”, che nelle intenzioni doveva essere il proseguimento musicale e politico di What’s Going On, nelle intenzioni ancora più radicale del disco che fece di Gaye l’artista che sbancò le classifiche americane nonostante le paturnie di Berry Gordy, il boss della Motown restio alla pubblicazione del lavoro. Il 45 giri che uscì nell’estate del 1972, “You’re The Man”, durante la campagna elettorale per le elezioni presidenziali che videro la vittoria di Richard Nixon, fu un gustoso antipasto di quelle che sarebbero state le intenzioni di Gaye e un attacco frontale alla politica del governo americano di quegli anni, reo secondo l’artista di non fare gli interessi del popolo (niente è cambiato da allora, vero?). Nella canzone Gaye faceva appello ai potenziali candidati di gettarsi nella mischia e chiedeva loro di impegnarsi veramente per risolvere i problemi delle persone e correggere le nefandezze della precedente amministrazione, quella che vide presidente Lyndon Johnson. Il pezzo poi ha la stessa struttura musicale di “Inner City Blues” ricalcandone lo stile armonico e melodico. Se “What’s Going On” fece venire lo sturbo a Berry Gordy nonché ottenere maggiore autonomia creativa a Gaye sul proprio materiale, il singolo “You’re The Man” ed il suo relativo insuccesso (riuscì a piazzarsi al settimo posto della Top 20 di Billboard e non andò oltre) fu la scusante per Gordy di far pressione su Gaye e fargli ripensare e chiudere tutto il progetto.

“You’re The Man” partì però con tutte le migliori intenzioni e con un mucchio di idee da parte di Gaye, forse anche troppe, al punto che ascoltando oggi il disco è come se assistessimo in diretta a tutto quello che frullava nella sua testa, come se le pressioni del boss Motown lo avessero reso incerto sulla direzione da dare all’album.

Il lavoro è come spezzato in due, dove i brani che possiamo ascrivere come parte integrante del progetto li troviamo all’inizio e alla fine del disco, con nel mezzo una manciata di ottime canzoni che sono però come disconnesse dal resto, essendo queste nel solco del tradizionale sound Motown, aggiornato al ‘72.

L’iniziale “You’re The Man” e “The World Is Rated X”, con quel loro tiro funk e conga groove come propaggine e proseguimento del discorso iniziato con “Inner City Blues” e se possibile dai testi ancor più crudi e politici, spogliati definitivamente da quell’ecumenismo socialmente consapevole che ascoltavamo in “Mercy Mercy Me”, sono probabilmente tutto quello che resta del disco così come sarebbe dovuto essere nei desideri dell’autore, con il senno di poi potremmo aggiungere la bellissima ballata gospel di “Piece Of Clay”, canzone dove Gaye canta tutta la sua frustrazione e il dolore per l’incapacità delle persone di riuscire ad amarsi l’un l’altro aldilà del proprio credo e convinzioni. Nel mezzo, come detto, abbiamo dei notevoli brani soul pop, scritti la maggior parte da Willy Hutch ed interpretati nel solito incantevole modo da Gaye, qui centrato come non mai, brani che comunque sono testimonianza dei molti progetti che l’artista aveva in ponte e che probabilmente anche per l’opposizione di Gordy fecero desistere Gaye nel proseguimento del lavoro, decretandone così l’abbandono. Alcuni di questi, “My Last Chance”, “Symphony” e “I’d Give My Life For You”, giungono a noi nelle versioni remixate da SalaAM ReMi (produttore tra gli altri di Amy Winehouse, Fugees e NAS) che aggiungono una patina di modernità che personalmente ritengo piuttosto fastidiosa (ascoltate quei pattern di batteria, ad esempio) e che niente aggiungono a dei brani già perfetti di per sé. Ma è sul finire del disco che si riannoda il filo con i primi pezzi, come nella strumentale “Christmas In The City”, “I’m Going Home” e in “Checking Out (Double Clutch)” pezzi intrisi di funk e dove possiamo ascoltare compiutamente il lavorio della band che partecipò all’impresa, ovvero quella di Hamilton Bohannon, e dove possiamo godere dell’inconfondibile stile chitarristico di questi proprio nel pezzo che chiude il lavoro.

Il fallimento del progetto, che non vide mai la luce, e l’arrivo dei demoni personali di Gaye, con cui combatté per il resto della sua breve vita, furono responsabili del cambio di direzione artistica del nostro; i successivi lavori infatti lo videro alle prese con la colonna sonora del film “Trouble Man” e di tematiche ad alto tasso erotico in “Let’s Get It On”.

Ma tutto sommato il tempo giusto per riascoltare “You’re The Man” è quello che stiamo vivendo adesso, a dimostrazione di come Gaye fosse avanti di una spanna rispetto agli altri artisti, dando ispirazione a chi come Stevie Wonder ne seppe raccogliere il testimone, e relegando persone come Berry Gordy nella categoria di quelli che antepongono il denaro ed il successo a qualsivoglia sperimentazione e cambiamento.