Con l'uscita di Forever Howlong è finalmente terminata la lunga traversata del deserto che i Black Country, New Road hanno intrapreso all'indomani della dipartita di Isaac Wood, nel tentativo di reinventarsi e conquistare una nuova identità, pur privi di un elemento così importante.
La decisione di cancellare quanto fatto fino a quel momento e di ripartire da zero, potrà non avere convinto troppo in un primo momento, ma sulla lunga distanza si è rivelata vincente: il collettivo britannico oggi è probabilmente meno interessante rispetto agli esordi, ma è comunque stato in grado di ritrovare una nuova unità e di valorizzare i contributi di tutti i suoi membri, in una libera interazione che a partire dal linguaggio del Folk ha incorporato anche altre influenze, alla ricerca di un'impronta sonora il più possibile personale.
Piano piano, data dopo data, sono cresciuti anche dal vivo: l'ultima volta che li ho visti, lo scorso giugno a Dublino, mi sono sembrati decisamente più a loro agio sul palco, nonché maggiormente coscienti dei propri mezzi.
Dopo l'uscita del disco, di fatto il primo dopo il cambio di line up (Live at the Bush Hall essendo solo una raccolta di inediti portati in giro nel tour precedente) avevano già suonato dalle nostre parti ma in posti logisticamente difficili per me da raggiungere. Adesso tornano a Milano e ovviamente non si poteva mancare, nonostante la venue prescelta, i Magazzini Generali, non sia esattamente delle più allettanti. Per fortuna entro nel momento stesso in cui viene aperta la balconata superiore, per cui riesco a posizionarmi comodamente fronte palco, senza il problema della calca e della scarsa visibilità che notoriamente affligge questo posto.
Segnatevi il nome Westside Cowboy perché tra qualche mese, se tutto andrà come deve andare, saranno sulla bocca di tutti: il quartetto di Manchester ha all'attivo un EP, This Better Be Something Great, uscito ad agosto, e ne pubblicherà un altro a gennaio, intitolato So Much Country 'Till We Get Home.
Hanno vinto il concorso per il miglior talento emergente organizzato dal festival di Glastonbury e si erano già esibiti ad un altro appuntamento importante come l'End of the Road (dove chi li aveva visti me li aveva segnalati), noto anche per il suo fiuto nello scouting.
Sul palco sono dirompenti, nel modo alquanto personale che hanno di partire da una matrice Folk, per poi farsi improvvisamente rumorosi e lanciarsi in cavalcate elettriche a metà strada tra l'epicità corale degli Arcade Fire e la ruvidezza assertiva dei Guided by Voices. Non è un caso che loro stessi abbiano definito la loro musica Britainica, ad indicare proprio l'unione tra le due anime in essa contenuta, quella americana e quella inglese.
Hanno in repertorio pezzi ben scritti, che funzionano bene al primo ascolto e che vengono eseguiti col piglio entusiasta tipico di chi va in tour per la prima volta, oltretutto in compagnia di una band così importante. Esibizione divertente e a tratti irresistibile, che il pubblico accoglie con ovazioni continue. Poi non dite che non vi avevo avvisato.
Il sestetto di Cambridge sale sul palco alle 21 in punto, orario giustificato dalla solita nottata dj in programma ogni sabato sera. La chiassosa “Downtown” di Petula Clark, scelta come musica d'ingresso, contrasta volutamente con la dolcezza di “The Big Spin”, il pezzo di apertura del concerto.
Che i Black Country, New Road siano ulteriormente cresciuti, è un dato evidente: l'amalgama tra gli strumenti si è fatto più profondo, i cambi di tempo e di atmosfera sono gestiti con maggior sicurezza, così pure le dinamiche e i crescendo. Tyler Hyde ha assunto ormai stabilmente il ruolo di direttore di questa piccola orchestra da camera, occupa il centro del palco e canta molti dei brani, con anche diverse incursioni al piano elettrico. Dal canto loro, Georgia Ellery al violino (distintasi ultimamente anche per il suo lavoro coi Jockstrap) e Mary Kershaw alle tastiere, offrono forse i contributi vocali più interessanti, mentre la sezione ritmica è spinta ottimamente dal batterista Charlie Wayne, e i fraseggi dEl sassofono di Lewis Evans assumono un'importanza di primo piano nell'economia di gran parte degli episodi proposti.
In scaletta c'è tutto Forever Howlong, che in sede live si conferma un gran disco e acquista anche ulteriori sfumature (notevoli soprattutto “Nancy Take the Night”, “Besties” e “Two Horses”, che sono anche quelle dove è più presente quell'unione tra Folk cameristico e Canterbury Sound che è la cosa che ho più gradito nel loro mutamento stilistico.
Stranamente gli estratti da Live at Bush Hall non hanno molto spazio (lasciata fuori addirittura “Up Song”, che pensavo si fosse ormai guadagnata lo status di classico) ma “Turbines/Pigs” e “Dancers” godono di esecuzioni frizzanti ed energiche, che scatenano il dovuto entusiasmo.
Tra i momenti migliori c'è poi una inattesa “The Ballad of El Goodo” dei Big Star (“Sono una grandissima band e spero in futuro di essere in grado di scrivere un brano come questo” ha detto Tyler in sede di presentazione) eseguita benissimo, doveroso tributo ad un gruppo fin troppo sottovalutato ma senza il quale non esisterebbe la metà dell'attuale scena indipendente.
Il pubblico, numeroso e soprattutto giovanissimo, ha risposto e partecipato con grande entusiasmo, salutando con gioiose urla di riconoscimento i primi accordi di ogni pezzo, producendosi spesso in singalong di grande effetto, e continuando ad applaudire per parecchi istanti al termine delle esecuzioni, tanto da non permettere alla band di ripartire immediatamente col brano successivo. Tanto calore ha sorpreso il gruppo stesso, con Charlie Wayne in particolare che ha speso parole di ammirazione per i ragazzi delle prime file, che ha detto di aver visto fuori in attesa sin dal primo pomeriggio.
E siccome negli ultimi tempi mi è capitato più volte di notare così tanto giovani a concerti di gruppi che non esprimono certo sonorità “di moda”, occorre forse cominciare a prendere atto (e con un certo piacere, mi verrebbe da dire) di come il vento stia gradualmente cominciando a cambiare.
Molto bello il finale, con “For the Cold Country” e una “Happy Birthday” solare e molto partecipata.
I Black Country, New Road sono ormai una certezza anche dal vivo: il prossimo disco non potrà che spostare l'asticella ancora più in alto, mentre l'entusiasmo del pubblico milanese fa intravedere una probabile esplosione commerciale che, date le circostanze, sarebbe davvero sorprendente.

