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REVIEWSLE RECENSIONI
Dance Called Memory
Nation of Language
2025  (Sub Pop)
IL DISCO DELLA SETTIMANA POST-PUNK/NEW WAVE POP
8/10
all REVIEWS
22/09/2025
Nation of Language
Dance Called Memory
I Nation of Language, con il nuovo Dance Called Memory, confermano di non essere solo la versione contemporanea dei New Order, bensì una band più che mai rappresentativa della scena indipendente di questi ultimi anni.

Nel 2020, al tempo del loro esordio Introduction, Presence, i Nation of Language potevano sembrare niente di più che un ottimo gruppo di giovanissimi con riferimenti ultra datati, in perfetto accordo con quella retromania imperante che sempre maggiore spazio pare sottrarre alla contemporaneità.

Cinque anni e tre album dopo, la percezione risulta alquanto mutata: il trio di New York non ci è stato ad essere fin troppo facilmente sottoposto a facili etichette e ha progressivamente elaborato una proposta meno lineare e più costantemente meditativa, senza a tutti i costi ricercare il ritornello catchy o la linea melodica di facile presa. Risultato: se i primi due lavori rimangono instant classic ultra lodati da pubblico e critica, il successivo Strange Disciple è stato forse meno apprezzato ma risulta senza dubbio musicalmente più interessante.

Stessa sorte potrebbe arridere a questo Dance Called Memory, che vede il gruppo intraprendere una nuova avventura in casa Sub Pop e rinnovare la propria collaborazione col produttore Nick Millhiser. Titolo evocativo, tratto da un verso della raccolta The Beauty of the Husband, della poetessa canadese Anne Carson: la memoria come una perenne danza tra suggestioni, paure e ricordi, in costante evoluzione e mutamento, il passato, il presente e il futuro a confondersi insieme in una successione indistinta.

 

“I’m Not Ready for a Change”, uno dei singoli del disco, riflette proprio su questo tema del cambiamento, ispirato dalle vicende del cantante Ian Richard Devaney e di alcuni suoi amici, comunica il disagio nel vedere che la vita va avanti incessantemente e non si ferma per forza di cose sulle situazioni che ci mettono maggiormente a nostro agio.

Dal sentimento di inadeguatezza di “Inept Apollo” alla sofferenza emotiva di “Now That You’re Gone”, gran parte dei brani sembrano configurarsi come una finestra aperta sull’anima del cantante, chitarrista e compositore, in una sorta di autobiografia interiore degli ultimi due anni.

La ricerca di soluzioni inedite, di esplorazione di territori fino ad ora ignoti, risulta sia dal lavoro di campionamento di drum break ed altri elementi sonori, procedimento suggerito da Millhiser e preso in prestito dalla tradizione Hip Hop, ma anche dai pionieri dello Shoegaze My Bloody Valentine, un modus operandi che ha arricchito e reso più cangiante il vestito sonoro di ciascun episodio; ma anche dall’inusuale scelta di aprire e chiudere il disco nel modo che meno ti aspetteresti: “Can’t Face Another One” è una ballata dall’umore malinconico e ammantata da Synth crepuscolari, dove Ian ricopre un sorprendente ruolo di crooner.

Dall’altra parte, “Nights of Weight” chiude il lavoro con una scarna chitarra acustica, inedita versione “stripped” che rende tangibile quello che hanno dichiarato in sede d’intervista, e cioè che la scrittura dei pezzi si è svolta quasi tutta in modalità “cantautorale”.

 

In mezzo, il marchio di fabbrica è sempre il loro, con “In Another Life”, “Silhouette” e “Inept Apollo” a ricalcare le sonorità degli esordi, seppur con maggiore consapevolezza; altrove troviamo invece titoli più in sintonia col mood odierno, composizioni lente e particolarmente cupe come “Now That You’re Gone”, “Can You Reach Me?”, o “Under the Water”, testimonianza di una maturità compositiva notevole e di una accresciuta alchimia di gruppo (Aidan Noell ed Alex MacKay, rispettivamente tastiere e basso, non sono semplici comprimari ma offrono un prezioso contributo in sede di arrangiamento).

Dance Called Memory è la certificazione che i Nation of Language non sono più semplicemente la versione contemporanea dei New Order, bensì una band più che mai rappresentativa della scena indipendente di questi ultimi anni: riferimenti chiari ma, allo stesso tempo, capacità notevole di interpretarli e rielaborarli.