"Riusciranno i Black Cat’s Eye ad affermarsi e non rimanere nell’anonimato?".
Si chiudeva così la recensione del precedente The Empty Space Between A Seamount And Shock Headed Julia, un album che a due anni e mezzo dall’uscita ha avuto un notevole impatto sulla scena post rock, facendo assurgere il quintetto tedesco al ruolo di osservato speciale del genere. E Decrypting Dreams Of Weird Animals And Strange Objects (la passione per i titoli lunghi ed enigmatici continua imperterrita) non delude le aspettative, aggiungendo nuove sfumature ai ritmi ipnotici e malinconici dei sei brani, in prevalenza strumentali, che fondono influenze classiche degli anni Settanta con il rock contemporaneo con ancor maggior spregiudicatezza.
Si possono sentire echi dei conterranei Can (in particolar modo delle loro esibizioni live tra il ’72 e il ’73) e Neu!, dei Motorpsycho, insieme a riferimenti all'estetica chitarristica di David Gilmour e dei Pink Floyd sotto la sua egida, quelli di A Momentary Lapse of Reason e The Division Bell, per intenderci. Indubbiamente, chi si aspettava una fotocopia del loro primo, azzeccatissimo lavoro, troverà invece colori diversi e l’ascolto in cuffia è consigliatissimo per concentrarsi sul tappeto ritmico che fa di chitarre, basso e batteria i protagonisti assoluti, con l’importante contorno delle tastiere, pronte talvolta ad abbandonare lo sfondo per prendersi la prima scena.
Un’ulteriore novità degna di nota è che un altro membro della band ha contribuito alla composizione delle canzoni: insieme al chitarrista e fondatore Christian Blaser, il bassista Jens Cappel ha scritto metà del materiale. Il suo stile potente e diretto completa perfettamente l'approccio “atmosferico” del leader e lo si percepisce subito nell’impetuosa “Hell Bent For Sæther”, il modo più diretto per addentrarsi nel magma sonoro dark post rock dei Black Cat’s Eye.
Un riff magnetico, accanto altre chitarre in evidenza (oltre a Blaser, Wolfgang Schönecker e Steffen Ahrens) accompagnate da un basso pulsante e una batteria gagliarda (Stefan Schulz-Anker): ritmi che colpiscono e poi spingono verso la seconda traccia “The Walls of Crystal Keep”, la parentesi più “gilmouriana” dell’opera interrotta da un trepidante assolo di wah-wah, come un sasso a rompere la quiete in uno stagno. Segue un nuovo, devastante temporale a nome “Unicorn”, per confermare l’altalena di emozioni.
L’album è un susseguirsi di cambi di tempo, di ritmiche e paesaggi sonori. Visioni cinematografiche dai contorni ovattati si alternano a momenti squarcianti ai limiti dell’hard rock. Ci pensano le tastiere, sapientemente gestite dal duo Blaser/Cappel ad ammorbidire le atmosfere e a spostare le dinamiche del gruppo, sempre alla ricerca di un differente orizzonte a cui tendere.
Sicuramente “Stemenfels Space Gate” riflette uno dei frangenti maggiormente energici. Grintosa e “chitarrosa” al punto giusto, con il basso e la batteria che “picconano” come se si stesse abbattendo un muro di cemento armato, ci porta con forza nella seconda parte del disco, il cui artwork monocromatico sottolinea il mood cupo delle canzoni. L’immagine in copertina, una spirale apparentemente infinita che simboleggia le strutture del DNA e l'eternità, riflette il paradigma della band: trattare la musica non solo come suono, ma concepirla anche in qualità di spazio, concetto e narrazione visionaria.
Secondo la filosofia del gruppo la tecnologia moderna offre unicamente l’illusione di poter controllare completamente ogni aspetto della vita. Il singolo individuo, tuttavia, è un semplice frammento di un insieme più grande, che non è possibile comprendere con la mente umana. L’arte, nelle sue espressioni più eccelse può aiutare ad avvicinarsi al significato dell’esistenza, riallineando le connessioni e tornando così a collegarsi, a sintonizzarsi nuovamente con tutto l’universo.
“Decifrare i sogni di animali strani e oggetti bizzarri”, come accennato, è un titolo alquanto misterioso, e solo le spiegazioni di Blaser aiutano a interpretarlo: «È stato ispirato da un concetto affascinante della serie televisiva americana Westworld, nella quale i robot umanoidi sono programmati con sentimenti e sogni. Ma man mano che diventano più umani, sfuggono al controllo, quindi i programmatori iniziano ad analizzare il codice sorgente che hanno scritto, cercando errori nei pensieri, nei sentimenti e nei sogni artificiali utilizzando programmi informatici. Nella realtà odierna che ci circonda trovo molto ironica questa situazione perché è esattamente quello che la tecnologia e chi la comanda ci sta portando a fare, soffocare i sentimenti e comportarci come automi, subendo la vita anziché viverla».
I nove minuti di “Everywhere I Rest My Head The Ground Is Shifting” fungono da sveglia in questo senso, togliendo dal torpore musicale in cui le playlist preconfezionate ci stanno relegando. In preciso equilibrio tra suoni grezzi, pesanti e delicati, senza mai perdere di vista il quadro generale e con un outro in crescendo e poi in dissolvenza, è perfetta per accompagnarci alla sorpresa finale di “The Magic Baloon”, un pezzo dall’inizio rilassato, con il rumore della pioggia a lasciar spazio a una sei corde acustica e a note d’organo minimali, seguite dal canto di Cappel. Le chitarre elettriche a mano a mano circondano la melodia prima dello spettacolare cambio di tempo quasi all’arrivo del terzo minuto, quando dopo alcuni secondi col fiato sospeso giungono colpi di batteria a decretare l’incedere prog rock del momento finale.
Si conclude così, dopo un’immersione nei Sessanta e Settanta e un audace ritorno alla contemporaneità grazie ad arrangiamenti e sonorità moderne, il nuovo percorso artistico dei Black Cat’s Eye. Un lavoro consigliato agli amanti del genere, ma anche ai curiosi e agli appassionati alla ricerca di spunti originali, di trame vivaci per arricchire le proprie prospettive musicali (e non solo).

