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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
25/06/2025
Le interviste di Loudd
Due chiacchiere con... Alan Sparhawk
A distanza di poche settimane dal concerto in suolo italico, abbiamo fatto una chiacchierata con Alan Sparhawk parlando dei suoi album, delle canzoni inedite, di come sia fare musica coi propri figli, e altro ancora. A voi il resoconto completo.

Dopo la scomparsa della moglie Mimi Parker, Alan Sparhawk ha dovuto confrontarsi, oltre che col dolore della perdita, anche con un cammino artistico che d’ora in poi sarebbe stato privo dei Low, con cui ha suonato e scritto capolavori per quasi trent’anni.

White Roses, My God, uscito lo scorso anno, ha spiazzato per un utilizzo massiccio di sonorità elettroniche e per una voce resa irriconoscibile da spessi strati di effetti. Un lavoro senza dubbio coraggioso, che ha ricevuto recensioni contrastanti e che è stato successivamente messo in ombra da Alan Sparhawk with Trampled By Turtles, registrato con l’omonimo gruppo Bluegrass, che ha ricondotto i fan alle più famigliari sonorità Alt Folk e ad un songwriting decisamente più tradizionale.

In attesa di scoprire quali saranno le sue mosse future, e a pochi giorni di distanza dallo splendido concerto di Milano, dove ha incantato proponendo materiale preso un po’ da tutte le varie fasi della sua carriera, abbiamo raggiunto Alan Sparhawk per telefono dove, nella sua casa del Minnesota, si stava godendo un po’ di meritato relax, prima di ripartire per un ennesimo giro di date. Si è parlato di tante cose: del live che sta portando in giro, dei due dischi appena pubblicati, delle canzoni inedite, di come sia fare musica coi propri figli, e altro ancora. Qui il resoconto completo.

 

 

Vorrei partire dal concerto di Milano di poche settimane fa, che mi è piaciuto veramente tanto. Mi ha sorpreso questa vostra scelta di due set distinti, uno dedicato al materiale di White Roses, My God, l’altro più tradizionale, incentrato sui brani registrati assieme ai Trampled By Turtles, dove hai suonato la chitarra e cantato senza effetti di sorta.

Abbiamo fatto così perché si tratta di due dischi completamente diversi. Avremmo potuto anche mischiarli, in realtà: fare una canzone da uno e poi una canzone dall’altro, ma abbiamo preferito costruire due momenti separati, con atmosfere distinte. Per me personalmente è meglio, perché in questo modo ho la possibilità di concentrarmi totalmente sul cantato nella prima parte e, dopo circa 30-35 minuti, passare ad un set più tradizionale, più tranquillo, dove ritornano le voci armonizzate e cose così. Sono due dischi diversi: uno è totalmente elettronico, l’altro è prevalentemente acustico per cui mi sono detto che sarebbe stato noioso mischiarli insieme, ho preferito andare prima in una direzione e poi in un’altra… non saprei… (si interrompe per qualche istante NDA) sai, è da un po’ che lo faccio e credo che se ti piace, vada bene anche provare anche cose diverse.

 

Mi ha stupito anche vederti ballare così tanto sul palco: nei Low suonavi sempre la chitarra ed eri per forza di cose più ingessato.

È una cosa che non controllo, la musica è molto coinvolgente e mi viene voglia di ballare. Non avendo la chitarra sono molto più consapevole del mio corpo, guardo molto di più cosa succede sul palco e fuori, ho più contatto col pubblico e quindi mi viene naturale muovermi in quel modo. Quando ero giovane poi ballavo parecchio, sicuramente sono consapevole che potrebbe sembrare strano, ora che sono più vecchio, vedermi ballare in giro per il palco in quel modo, ma non posso evitarlo, la musica mi coinvolge tantissimo e mi piace sentirmi più a contatto con essa: quando ti muovi così, di fatto la musica la senti di più, è normale.

 

State andando in giro in tre e al basso c’è tuo figlio Cyrus: com’è suonare con lui?

Questo assetto a tre mi piace molto! Cyrus ha iniziato a suonare il basso 3-4 anni fa ed è veramente bravo. Avevamo già fatto parecchia musica insieme e ci siamo sempre trovati bene: è molto veloce a imparare le sue parti nelle canzoni e ha un’ottima predisposizione per il ritmo, per le dinamiche. È veramente una gioia suonare con lui, aveva già partecipato alle registrazioni del mio disco (White Roses, My God, NDA) e abbiamo una band Funk insieme (i Derecho Rhythm Section, NDA) per cui nel complesso direi che ci troviamo bene. In generale mi piace avere membri della mia famiglia con me sul palco, mi piace fare musica con persone che mi sono vicine. Trovo che questa cosa ci stia dando una nuova vita, una nuova esperienza padre-figlio: normalmente quando i figli hanno 20-21 anni tendono ad allontanarsi dalla famiglia ma nel nostro caso è bello avere la possibilità di trascorrere così tanto tempo insieme. Per cui finché a lui andrà bene faremo così (ride, NDA)!

 

Alla batteria invece c’è Eric Pollard, anche lui una vecchia conoscenza…

Sì, con Eric avevamo già suonato nei Retribution Gospel Choir e mi piace lavorare con lui, ha un grande talento per la musica, è molto collaborativo, canta benissimo per cui facciamo tante armonizzazioni vocali insieme, anche con Cyrus e credo proprio che i momenti migliori con questo gruppo siano quando cantiamo tutti insieme, si crea un feeling molto intenso, qualcosa che quasi buca l’aria. Ci piace molto anche improvvisare e nonostante le canzoni per la gran parte siano tranquille, ci piace diventare potenti, far montare l’aggressività, far diventare molto forte e robusto qualcosa che in origine appare fragile. È una cosa che accade anche con le canzoni nuove ed è molto bello.

 

In effetti l’ho scritto nel report del vostro concerto: il modo in cui lavorate sulle dinamiche e fate crescere il muro di suono, mi ha davvero molto impressionato.

Ti ringrazio.

 

Hai da poco registrato un disco coi Trampled By Turtles, che è effettivamente molto diverso dal precedente: come mai questa scelta?

È stato abbastanza sorprendente, in realtà. Coi Trampled by Turtles siamo amici da tempo, abbiamo suonato parecchio insieme, rifacendo anche le canzoni dei Low. Negli ultimi tempi ci siamo detti che sarebbe stato bello registrare qualcosa e infine l’opportunità è arrivata: loro erano in studio e avevano un giorno in più a disposizione, mi hanno chiamato e ho portato alcune canzoni da provare. Siamo stati velocissimi, abbiamo assemblato un buon numero di brani e credo che quello sia stato il momento in cui mi sono detto: “Ecco, abbiamo un disco intero”. In origine infatti mi aspettavo che avremmo registrato un paio di pezzi che poi avremmo infilato da qualche parte, non di più. Quando ci siamo trovati a mixarlo, poi, ho capito che avevamo un disco che era totalmente diverso dal precedente. Non c’è stato nulla di programmato e onestamente non ti so dire perché dopo un disco elettronico me ne sia uscito con un gruppo di canzoni acustiche, è semplicemente successo. Sono vecchi amici, erano amici anche di Mimi, per cui è stato anche un modo di onorarla, sono contento che da questa bellissima esperienza con loro sia nato un disco.

 

A tal proposito, credo che “Screaming Song” sia una delle canzoni più belle che tu abbia mai scritto: mi ha fatto piangere quando l’hai suonata dal vivo…

Oh, davvero? Ti ringrazio. Sai, non è una canzone che ho scritto a tavolino, è semplicemente uscita fuori così, in modo molto veloce, non so davvero come, ma sono grato che sia uscita…

 

White Roses, My God invece ha stupito molti e ha generato giudizi contrastanti, non solo per l’abbondanza utilizzo dell’elettronica, ma anche e soprattutto per come hai deciso di filtrare la voce, fino a renderla irriconoscibile. Personalmente ti dico che il disco mi è piaciuto, alla fine gli ho assegnato anche una valutazione positiva in sede di recensione, però l’esperienza di ascolto è tuttora parecchio ostica. Pensi che si sia trattato di una fase isolata, oppure in futuro farai ancora musica così?

Non lo so con certezza. Mi è piaciuto molto il modo in cui abbiamo fatto il disco: le canzoni sono tutte improvvisate, suonavo e cantavo allo stesso tempo, improvvisando tutto, e quel che si può sentire è frutto di questo lavoro di improvvisazione. Non avevo mai provato a lavorare così, mi sono trovato bene e non è escluso che succederà anche in futuro. Adesso ho in giro diverse altre canzoni ma sono scritte in modo tradizionale quindi lo stile sarà probabilmente diverso. Però, davvero, non so che cosa farò: mi piace suonare con la band, mi piace fare musica che sia anche potente, rumorosa, e mi piace anche la musica elettronica che c’è sul disco perché mi spinge a cantare in modo differente, a pensare in modo differente, spinge la mia mente a creare cose diverse, per cui può darsi che lo farò ancora. Gli effetti sulla voce mi sono stati davvero utili, mi hanno aiutato a cantare, a trovare un nuovo modo per esprimermi, in un momento in cui non avevo proprio voglia di ascoltare la mia voce. Ero ancora in shock e non avevo voglia di sentirmi cantare perché quella voce lì mi ricordava troppo un passato che non c’era più. Ci ho messo un po’ a ritrovare la giusta dimensione nel cantare e in questo, gli effetti mi hanno offerto la giusta dimensione per lasciare uscire le cose che dovevo lasciare uscire.

 

Durante questo tour stai suonando un brano che si chiama “JCMF” (che sta per “Jesus Christ Motherfucker”) che mi ha colpito particolarmente. Su setlist.fm è attribuita ai Retribution Gospel Choir ma non è sui dischi che avete pubblicato. Ho visto che su reddit si è pure scatenato un dibattito sulla sua natura e provenienza…

Si tratta di un brano che ho in giro da un po’ ma che non ho mai registrato, probabilmente perché non ha mai trovato la giusta collocazione. Può darsi che prima o poi verrà registrata ma al momento mi diverto molto di più a suonarla dal vivo. Tu vorresti che venisse registrata?

 

Assolutamente, mi piace tantissimo! La musica ha un non so che di Gospel e si sposa bene con il testo, che mi sembra molto apocalittico. In generale funziona bene tutto, ha un’atmosfera davvero affascinante!

Il testo in effetti cambia molto la prospettiva del brano, anche perché è ambiguo: all’inizio potrebbe sembrare accusatorio, nel senso che sembrerebbe scritto da una prospettiva cristiana, in realtà è una canzone molto anticristiana. Parla di quelle persone che pensano di seguire Dio ma che in realtà fanno cose terribili, che senza dubbio Dio condannerebbe, ma le fanno usando Dio come giustificazione.

 

Quindi quando canti: "When Jesus comes back, all you motherfuckers gonna pay", va intesa in senso ironico?

Le persone che pensano che Gesù tornerà, senza dubbio pensano che verrà a giudicare, però in realtà saranno loro che riceveranno il castigo più duro. Dicono di seguire Gesù ma in realtà opprimono gli altri, si comportano in modo orrendo. In generale la canzone è anche un modo di dire a me stesso che in qualche modo pagheremo tutti, prima o poi: beneficiamo tutti della schiavitù, dell’oppressione, ci sono tante persone povere nel mondo e in qualche modo tutti noi ne ricaviamo dei vantaggi; quindi pagheremo tutti, che sia Gesù o il karma o qualcos’altro. Se si sceglie l’egoismo, alla fine della vita ci sarà un prezzo da pagare.

 

Hai registrato un brano, “Not Broken”, dove canti assieme a tua figlia Hollis: pensi che ci saranno altre occasioni di collaborare con lei, magari anche dal vivo?

Chissà, forse sì, vedremo. A lei la musica piace molto, ha una band col suo compagno e in passato abbiamo fatto altre cose insieme. Però dall’altra parte è molto attenta, sa perfettamente che quando le persone la sentono cantare sono portati a fare dei paragoni, per cui si porta dietro questa strana pressione (allude al fatto che il suo timbro somiglia tantissimo a quello della madre Mimi Parker, NDA). È comunque una cantante meravigliosa e mi piacerebbe fare ancora canzoni con lei, certo.

 

A Milano hai suonato un brano nuovo intitolato “No More Darkness”, che è costruito un po’ come uno Spiritual. Presentandola, hai detto che ogni tanto senti la necessità di mettere da parte i cattivi pensieri e dedicarti a qualcosa di più luminoso, positivo. Pensi che la fede, oltre alla musica, possa aiutare in questo processo?

La fede mi è utile, sì, diciamo che la prospettiva della vita eterna mi è di aiuto, soprattutto ora che la mia famiglia è passata attraverso esperienze difficili. In questo momento però non so realmente che cosa sia vero e cosa no: quando ero giovane pensavo di sapere molte cose ma adesso non lo so più. Non so davvero che cosa ci sia di là e credo che vada bene così. Per tutta la mia vita ho pensato che, arrivato a questo punto, avrei capito meglio certe cose ma in questo momento vedo che non è così, più vivo e più mi rendo conto di non sapere abbastanza. Mi piacerebbe avere una maggiore comprensione di ciò che c’è di là e, se davvero c’è un Dio, mi piacerebbe che questo Dio ci parlasse di più ma davvero non so che cosa ci sia effettivamente…

 

Quando si parla di te, trovo che non sia mai abbastanza sottolineato il fatto che tu sia anche un grandissimo chitarrista, oltre che un ottimo autore di canzoni…

Non saprei, quando ho iniziato a fare musica, da giovane, ero molto attratto dalla chitarra, ad un certo punto ho iniziato a scrivere canzoni ma mi sentivo inadeguato, per un po’ ho fatto fatica a gestire entrambe le situazioni. La chitarra è sempre stato per me lo strumento principale, quello da cui tiro fuori le idee per le canzoni, scrivo fondamentalmente sempre alla chitarra. Mi sono impegnato per anni a suonarla bene ma credo di essere un chitarrista molto anticonvenzionale: suono con accordature strane, con suono e approccio diversi rispetto a un chitarrista tradizionale. Credo che sia bello se mi considerano un buon chitarrista, io d’altra parte ce l’ho sempre messa tutta per diventare il musicista che sono ora, senza peraltro indulgere in esibizionismi. Provo a suonare sempre meglio che posso, ma la verità è che vedo in continuazione chitarristi molto migliori di me in giro (ride, NDA). Però d’altra parte vedo tanti chitarristi ma non così tante persone che siano anche autori.

 

Per concludere, vorrei farti una domanda sulla sostenibilità dell’andare in tour: in queste settimane in Italia si sta parlando molto di alcuni artisti che hanno cancellato i loro concerti, riportando così alla luce un modello vizioso che negli ultimi anni pare diventato la norma: fondamentalmente gli artisti non vanno più in tour, preferiscono fare due o tre concerti negli stadi e nei palazzetti, per dare l’idea di essere capaci di riempire posti grandi. Poi però succede spesso che non vendano abbastanza biglietti e allora, per evitare di tenere lo stesso il concerto svendendo e regalando i posti, rimettendoci così pesantemente, preferiscono annullare. Da quello che vedo, all’estero si va ancora parecchio in tour, forse perché chi canta in lingua inglese ha un mercato più grande a disposizione (gli esempi che ti ho fatto sono relativi ad artisti che cantano in italiano e quindi difficilmente riescono ad uscire dal loro paese). Tu come la vedi?

L’industria musicale è molto strana, oggi è anche molto diverso il modo in cui la gente ascolta nuova musica, le case discografiche e le agenzie di produzione lavorano coi giovani artisti solo ed esclusivamente allo scopo che possano esplodere e diventare enormi, in modo da poter monetizzare. In un certo senso è sempre stato così: l’industria vuole fare soldi ed è disposta a investire solo in quegli artisti che promettono di procurarle un rendiconto. Suonare concerti piccoli per diverso tempo è in effetti un grosso lavoro che non sempre paga, per cui posso capire. Sicuramente, nel vostro caso, il linguaggio è una barriera importante, qui in America non abbiamo questo problema e per molti anni abbiamo monopolizzato il mercato, anche se vedo che ultimamente le cose stanno cambiando, vedo artisti di altre nazionalità che vengono qui a suonare. Però è vero che la musica è in un certo senso un contest di popolarità: puoi anche essere molto talentuoso e fare dell’arte veramente buona, ma non è detto che questo faccia sì che l’industria si interessi a te.

 

E per te com’è? Riesci ancora ad andare in tour senza rimetterci?

Se riesci a ridurre le spese, a viaggiare con poche persone, senza tecnici e cose così, e poi la gente viene anche a sentirti, allora ce la si fa (ride, NDA)! Diciamo che si riesce ancora ad andare in tour ma non si guadagnano chissà quali cifre, va molto meglio quando i grossi festival ti invitano, allora lì si guadagna di più. Io personalmente cerco di fare il maggior numero di concerti in posti piccoli e poi di metterci dentro qualche festival. È fattibile ma bisogna lavorare parecchio, poi adesso c’è anche da dire che adesso vengono a vedermi meno persone rispetto a quando ero nei Low: è giusto così, è un periodo di cambiamenti e bisogna essere accorti e gestire bene le cose. È difficile quindi, però in un certo senso lo è sempre stato: se fai musica nuova, se sei appassionato a quello che proponi, se ci metti il cuore, è dura; è dura farsi ascoltare, conquistare il pubblico. Bisogna continuare a fare quello che si fa, convinti che sia qualcosa di unico, e prima o poi i risultati arriveranno. Al contrario, se si punta solo al successo immediato, il rischio è quello di diventare noiosi molto presto…