Certo, per organizzare a giugno, all’aperto, a Milano e ai tempi del cambiamento climatico, il concerto di una sedicente “Figlia d' 'a tempesta” ci vuole sangue freddo e sprezzo del pericolo. Giusto lo scorso anno, proprio in questi giorni, attendevo sotto un nubifragio che i The National salissero sul palco del Carroponte. Ma, questa volta, cielo sereno e caldo non sono mancati e La Niña non ha smentito le previsioni.
“Furèsta”, la vera sorpresa dell’anno, è un album coraggioso quanto lei (non a caso l’abbiamo recensito con toni più che entusiasti) che ha alimentato aspettative molto alte sul suo live. Le apparizioni nei programmi tv per la promozione del disco ci hanno dato un assaggio delle potenzialità di questo progetto ripensato sotto forma di spettacolo. Uno stile dalle radici antiche e popolari, che rischia di essere fatalmente coinvolgente se trasmesso con passione da chi suona e canta a chi canta e balla. Un sound di piazza, di corpi che si mescolano, di suoni che avvolgono, di ebbrezza ed emozioni forti. Un vero miracolo che si perpetua quando tutto avviene sullo stesso piano. Un’incognita, invece, in una dinamica dall’alto al basso, da palcoscenico a pubblico in piedi, una gerarchia in cui tenere le redini della performance non è da tutti. Un approccio che funziona in un teatro o in qualunque altro luogo sacro o di raccoglimento spirituale. Come sarà in uno spazio outdoor da happening estivo?
I fattori che hanno reso l’esibizione sold out de La Niña nel giardino della Triennale di Milano un’esperienza indimenticabile non sono pochi.
In ordine crescente, in quanto a importanza, occorre partire dalla location. Ascoltare buona musica immersi in un luogo in cui si respira arte è una formula azzeccatissima, al netto degli echi delle playlist blasfeme e irrispettose che si percepivano dai chioschetti gremiti di avventori del divertimento cheap a ridosso dell’ingresso nei momenti di raccoglimento silenzioso, tra un brano e il successivo della scaletta. Il soffice manto erboso del giardino, poi, ha convinto più di un partecipante a sciogliere le fibbie delle Birkenstock e godere del contatto con la natura a piedi nudi, in un’atmosfera incredibilmente ancora lasciata sguarnita dalle zanzare. L’adiacente Parco Sempione ha contribuito a mitigare l’afa rendendo la (breve) attesa dell’inizio dello spettacolo e la concitata partecipazione durante il concerto sopportabilissime.
La gente, quindi. Un tutto esaurito di un pubblico indubbiamente omogeneo ma, all’interno di questa categoria, decisamente variegato, a prova del fatto che il messaggio di “Furèsta” è stato colto e assimilato da una moltitudine di persone desiderose di riscatto. Un album profondamente politico - e nemmeno troppo inconsapevolmente - che rivendica orgoglio, rivalsa e riconoscimento sociale in atti del tutto ordinari come il canto collettivo, la consapevolezza di classe, la danza come catarsi. Adolescenti, giovani adulti, famiglie con bambini, irriducibili di mezza età, gruppi di amici, coppie di tutti i tipi, persone sole, il tutto nella completa nuance di fluidità di genere. La quotidianità, insomma, quello che sempre meno associamo ai parametri di normalità, vista l’aria che tira.
Una folla accorsa ad assistere a un rito. La Niña, l’alfa e l’omega della serata, un’incredibile performer che ha saputo trasmettere tutta la portata viscerale delle sue canzoni compressa in un album dolorosamente attuale. A parte la presenza di Alfredo Maddaluno, produttore e arrangiatore di “Furèsta”, la band sul palco è tutta al femminile e si alterna tra chitarre, percussioni e cori. Una line-up in nero in cui risalta La Niña, la sola in abito bianco. Quasi due ore di concerto concentrate sui brani del nuovo disco presentati con le stesse nervose e coinvolgenti sonorità delle registrazioni. Strumenti acustici capaci di diffondere la magia delle vibrazioni dei materiali naturali percossi, graffiati, scossi e pizzicati. Corde, pelli e legno amplificati magistralmente e resi ancora più pervasivi dall’apporto di suoni elettronici ed effetti digitali rarefatti, dosati con gusto e perfettamente abbinati.
Ad aggiungere valore alla tracklist di “Furèsta” contribuiscono l’inserimento di qualche brano emerso dal passato della cantautrice e riadattato alle nuove sonorità, un tributo alla tradizione della canzone napoletana, con le versioni di “Era de maggio” e del “Canto delle Lavandaie del Vomero” di Roberto Murolo, e un arrangiamento per solo vocoder dell’immancabile - per una interprete campana - aria di “Maruzzella”.
Quello de La Niña è stato un concerto innanzitutto di voci. L’intreccio e le armonizzazioni tra solista e cori hanno diffuso emozioni alla marea di fan che non ha smesso di accompagnare le ardite evoluzioni melodiche anche lungo le polifonie più complesse e nonostante le difficoltà della lingua.
Ma è stato anche un concerto di mani. Mani in continuo movimento, spinte sinuosamente verso l’alto a dare forma e sostanza al mix di ritmi eterogenei alla base del repertorio. Taranta, reggaeton, dub, fado, tutti generi in cui il gesto di tendere le braccia al cielo per accompagnare i battiti più profondi rispecchia un istinto ancestrale di abbandono, nel tentativo di aggrapparsi all’infinito e trovare la salvezza. Mani che applaudono e tengono il tempo, mani che suonano tammorre, nacchere, chitarre battenti e pad che liberano sample, aggiungendo una coreografia suggestiva alle canzoni e alle parole.
È stato quindi un concerto di cuore, il sentimento sincero che lega La Niña ai suoi ascoltatori, più volte dichiarato tra un brano e l’altro lungo le conversazioni urgenti con il pubblico per introdurre, con aneddoti e didascalie, le storie custodite dalle sue canzoni.
Ed è stato, infine, un concerto di passione. L’incipit a cappella di “Figlia d' 'a tempesta”, un vero e proprio inno del nostro tempo, è accolto con un boato, un’esplosione di entusiasmo che fa saltare il pubblico per tutta la durata della canzone. Il brano, tenuto in serbo per il finale, come era ovvio, ha avuto una coda improvvisata. La folla non ha smesso di cantare oltre il termine del pezzo, accompagnandosi con le mani, i versi “Femmena 'e niente/paura 'e niente”, costringendo i musicisti a tornare sul palco per eseguirla da capo una seconda volta, per poi proseguire i bis con un paio di versioni acustiche del repertorio già proposto.
Uno spettacolo genuino e trascinante, come non ne vedevo da tempo, grazie a una formula che mescola eleganza, impegno, rabbia, amore e speranza a uno stile a cui è difficile resistere. Per La Niña un sold-out e un riconoscimento più che meritati.