Con Magic Garden il Magnolia si trasforma ogni anno in un giardino incantato per accogliere al meglio l'estate in arrivo. Allestimento con tre palchi, due per i live show e una postazione per i dj set, con un'offerta discretamente ampia che prevede un assortimento di act sia italiani sia stranieri, ad offrire un interessante scampolo sul panorama musicale contemporaneo.
Non nascondo che per il sottoscritto si tratta soprattutto di un'occasione per rivedere per l'ennesima volta i Notwist, ma già che ci sono ne approfitterò per toccare con mano alcune realtà di cui si è scritto e detto un gran bene, ma che non ho avuto ancora modo di testare dal vivo.
La giornata non è troppo calda, i concerti iniziano verso sera, per cui ci sono le condizioni ottimali per godersi tutto al meglio. Il programma prevederebbe Bassolino, che ero molto curioso di vedere, ma all’apertura delle porte la prima ora è occupata da un dj set e dell’artista napoletano nessuna traccia. Potrebbe essere che sia stato spostato nella seconda parte della serata ma, per quanto mi riguarda, non riesco a saperne nulla.
Si inizia così con Il Mago del gelato, che questa sera gioca in casa, nel vortice di un tour estivo (denominato Anguria Tour, dal titolo di un nuovo singolo che uscirà settimana prossima e che è stato suonato in anteprima in questa sede) che sta confermando tutto l'hype presente da tempo attorno al gruppo milanese.
Fatta salva la bontà dell'ultimo disco Chi è Nicola Felpieri è indubbio che le sue carte migliori le giochi in sede live. Formazione a sette elementi, comprensiva di sezione fiati, batteria e percussioni, sul palco hanno un impatto travolgente, con le tastiere a disegnare gran parte delle melodie portanti, in un susseguirsi di sonorità a metà tra il Funk e il Jazz, con una forte componente mediterranea a legare il tutto.
Musicisti di altissimo livello, il virtuosismo non è tuttavia la componente più importante dello show, nonostante ogni membro abbia modo di ritagliarsi notevoli spazi solisti durante i vari brani. Prevale piuttosto la componente ritmica, con un tiro irresistibile che scatena l'entusiasmo del pubblico e dà il via a balli scatenati, che raggiungono il culmine durante una loro personale interpretazione di un pezzo di Fela Kuti.
"Pandora", "Elisir", "Enrico lascia perdere", "Maledetta quella notte" sono tutti esempi di canzoni di grande impatto, che certificano l'ascesa di un collettivo che sta meritando tutto il successo che sta riscuotendo. Speriamo di riuscire a rivederli presto.
Gli olandesi Yin Yin si muovono più o meno sulla stessa falsariga, per lo meno a livello di intenzione generale, ma hanno dalla loro una maggiore componente psichedelica ed una certa propensione ai cambi di tempo ed ai fraseggi chitarristici, che li possono far accostare, pur con una buona dose di cautela, al mondo del Progressive.
Li avevo già visti lo scorso anno ad Ypsigrock ma qui suonano di più e in una situazione decisamente più congeniale. Agghindati con le solite improbabili tute colorate, danno vita ad un concerto meno immediato del precedente, in alcuni punti anche piuttosto ricercato, ma sempre ricchissimo di groove e altamente ballabile.
Simpatici e non privi di ironia, sono un'altra band che, per quanto buoni possano essere i dischi, si riesce a godere appieno solo in sede live.
Menzione speciale poi per il bassista Jerome Scheren, che ha suonato (alla grande) nonostante si sia rotto un dito appena due giorni prima. Gran finale con "Takahashi Timing", che fa scatenare tutti e vira anche su sonorità disco.
L’atmosfera coi Notwist cambia radicalmente: la band tedesca, nonostante ami coinvolgere il pubblico e si prodighi in momenti di alta intensità, è fautrice di una proposta più ostica e sofisticata, che si muove da sempre tra le suggestioni elettroniche, il minimalismo contemporaneo e l’Indie Rock più meditativo e raffinato. La performance dei sette vive di contrasti, a cominciare da “Into Love/Stars”, che inizia in sordina, con la voce di Markus Acher accompagnata da delicate note di Synth, per poi riempirsi progressivamente ed esplodere in un deflagrare elettronico che è ideale preludio alla successiva cavalcata di “Kong”.
Sul palco come sempre vige la perfezione assoluta, coi suoni curati nei minimi dettagli ed un equilibrio perfetto tra componente analogica e digitale, le chitarre che si fondono naturalmente coi sintetizzatori ed il sax dell’ultima arrivata Theresa Loibl (con loro dal tour di Vertigo Days) ad inserire efficaci contrappunti. Come sempre poco prolifica in fatto di uscite, e con l’ultimo disco risalente a quattro anni fa, è naturale che la scaletta sia un po’ sempre quella. Nel loro caso, tuttavia, guai a lamentarsi: gli estratti da Neon Golden sono sempre delle perle, in particolare una “Pick Up the Phone” rarefatta e sofferta, o una “This Room” impreziosita da un finale da avanguardia rumoristica, con tanto di sax impazzito.
Vertigo Days, i cui brani ascoltiamo dal vivo per l’ennesima volta, si conferma ancora di più un capolavoro, tra le atmosfere soffuse di “Where You Find Me”, le vibrazioni dissonanti di “Into the Ice Age” e le pulsazioni da elettronica ossessiva di “Ship”. A questo giro arriva comunque qualche novità: la delicata ballata “Who We Used To Be”, realizzata nel 2022 per una compilation uscita in Giappone, è una bella chicca, mentre risulta altrettanto gradito il ripescaggio di “Puzzle”, che appartiene ad un periodo in cui il gruppo era ancora alla ricerca di un suono che fosse davvero suo (e difatti si sente, nonostante l’esecuzione tenga evidentemente conto degli odierni parametri stilistici).
C’è poi un momento curioso, che vedo per la prima volta in un loro concerto, dove rimangono in formazione power trio, chitarra basso e batteria, ed eseguono un brano che non riconosco, ma che potrebbe essere tratto dall’esordio Post Hardcore del 1991. Le coordinate non erano esattamente quelle, ma di sicuro si trattava di un qualcosa che non aveva nulla a che vedere coi Notwist odierni.
Nel finale si ritorna sui binari consueti: “Pilot” stasera dura meno del solito ma si fa lo stesso notare per la parte centrale dilatata in cui Markus si remixa in diretta e dove si sconfina nella Dub.
E poi, ovviamente, “Consequence”, la loro unica hit, quella che conoscono tutti ma che da sola non è bastata a garantire loro fama imperitura (anche perché, bisogna dire, nel prosieguo di carriera hanno saggiamente deciso di non cavalcarne l’onda).
Un’ora e un quarto ancora una volta di livello assoluto, per una band che, per lo meno dal vivo, è senza alcun dubbio tra le migliori al mondo. Adesso però, che non si azzardino a tornare senza aver prima fatto uscire un nuovo disco.
La serata è ancora lunga ma il mio Magic Garden finisce qui: ballare non fa per me e la proposta da adesso in poi andrà tutta in questa direzione. Bisogna comunque fare i complimenti al Magnolia per un’edizione che, per quello che ho potuto vedere, è sembrata perfettamente riuscita. I live estivi sono questi, con buona pace di stadi e ippodromi vari…