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REVIEWSLE RECENSIONI
04/11/2025
Edda
Messe Sporche
Un disco abrasivo, a tratti selvaggio, con una fortissima impronta live quello di Edda. Messe Sporche ha canzoni dalle strutture spesso imprevedibili, dominante dall'eclettica personalità del suo autore.

Arrivata al settimo disco in studio, la carriera di Edda è ormai più che una certezza. Sono lontani i tempi di Semper biot, in cui non era ben chiaro che cosa sarebbe successo e, soprattutto, se l'ex Ritmo Tribale fosse pienamente in controllo del proprio processo artistico e compositivo. Senza stare troppo a riassumere una storia lunga e comunque già più volte raccontata, occorre dire che a partire da Stavolta come mi ammazzerai? i vari tasselli sono andati a posto: un album splendido, che ha venduto bene, lo ha convinto a tornare a vivere di musica e a puntare tutto sui propri talenti in sede di scrittura, oltre al contributo stabile di collaboratori sempre più preziosi.

Non è tornato nella sua vecchia band (che nel frattempo si è riformata e ha fatto pure uscire nuovo materiale) e questa è senza dubbio una notizia, in un'epoca in cui sarebbe fin troppo facile monetizzare sulla nostalgia. 

 

Messe sporche arriva tre anni dopo Illusion ed è in un certo senso un ritorno alla normalità: la collaborazione con Gianni Maroccolo, durata lo spazio di due dischi (questo e Noio; volevam suonar, firmato da entrambi) aveva lanciato l'esplorazione di territori in parte inediti, e aveva introdotto un certo “controllo” sugli arrangiamenti e sulle soluzioni melodiche. Nel complesso si era trattato di un ottimo lavoro, magari distante dall’Edda a cui i fan erano maggiormente abituati, ma proprio per questo degno di grande attenzione.

Adesso, accantonata quella fase come un esperimento, seppur fortunato, Stefano Rampoldi è tornato al sodalizio con Luca Bossi, assieme a Fabio Capalbo (qui assente) uno dei suoi principali collaboratori, anche dal vivo. Luca ha prodotto il disco e vi ha suonato basso e chitarre, assieme ad Alberto Moscone e Simone Galassi, mentre Teo Canali si è occupato della batteria. 

 

Il risultato è un disco abrasivo, a tratti selvaggio, con una fortissima impronta live, dove la band appare lanciata a briglia sciolta, alle prese con canzoni dalle strutture spesso imprevedibili, dominante dall’eclettica personalità di Edda, che ha ora di nuovo modo di riversarsi incontrollata dai solchi dei vari brani. 

Un disco breve (mezz'ora o poco più) con canzoni quasi tutte sotto i tre minuti, dove tuttavia succedono un sacco di cose: è ancora una volta il sodalizio Rampoldi/Bossi che si rinnova, dove la libera espressione fluisce, preoccupata solo del risultato finale piuttosto che del rispetto delle convenzioni.

Non è un caso che i riferimenti principali di Messe sporche siano soprattutto Fru Fru e Una graziosa utopia, tra i lavori più diretti e concisi dell'artista milanese, quelli dell'assestamento stilistico e della maturità compositiva. 

 

Ancora una volta è dunque il rock, quello più marcio e viscerale, a farla da padrone. Chitarre dal suono grezzo, a tratti saturo di distorsione, in un susseguirsi di riff incalzanti e anche un po' ruffiani, alternati a break e cambi di tempo, e a ritornelli e melodie vocali che denotano come sempre un talento fuori dal comune. 

E poi i testi, che sono ancora una volta un’infilata di nonsense a metà tra il dadaismo e il demenziale, dove la libera associazione di idee dialoga con la resa fonetica e produce mostri troppo belli per essere tenuti a distanza (“Fedez non è Hegel, però i russi sono de coccio” meriterebbe una tavola rotonda di approfondimento). 

Difficile e anche superfluo citare un episodio piuttosto che un altro, anche perché la brevità dell'insieme sconsiglia per forza di cose un ascolto parcellizzato. Vale comunque la pena citare “Dixan” e “Family Day”, notevoli mazzate ritmiche con ritornelli che sono probabilmente i migliori del disco, e la conclusiva “Macchia”, ballata straziante e disperata, disadorna e molto poco elegante, vicina a “Saibene” come intenzione ma decisamente più piena a livello sonoro. 

Non il capitolo migliore della sua discografia, ma ugualmente un ritorno coi fiocchi, da parte di quello che ormai è a tutti gli effetti un pezzo importante di storia della musica italiana.