“A tutti gli interessati, ovvero: a tutti voi.
Questo messaggio serve a informarvi che la Rock Sensation Internazionale The Hives, la migliore live band del pianeta e ancora una volta la vostra band preferita, acclamata in tutti i continenti per la sua maestria e l’energia selvaggia con cui domina la scena rock, ha creato un nuovo corpus musicale come mai se n’erano sentiti prima… e probabilmente mai più si sentiranno.
Un nuovo disco così pieno di energia, gioia, rabbia e vita che vi farà mettere in discussione la realtà così come l’avete conosciuta finora. Ogni singola canzone è un singolo, ogni singolo un successo, ogni successo un colpo diretto in faccia all’establishment”.
Questo il messaggio che gli Hives hanno inviato a tutti i promoter per annunciare il loro nuovo lavoro, un’ottima sintesi non solo di The Hives Forever Forever The Hives, ma anche dello spirito ironico, leggero, divertito e divertente (oltre che deliziosamente “irritante”) che da sempre caratterizza questi cinque pazzi svedesi. Dopo che nel precedente e ottimo The Death of Randy Fitzsimmons (qui la recensione) si era posta, con una degna elegia, una pietra tombale sopra il passato, con questo nuovo disco – giunto incredibilmente a strettissimo giro dal precedente – i ragazzi di Fargesta possono buttarsi alle spalle la tensione legata all’effetto “ritorno del figliol prodigo” dedicandosi al loro futuro con leggerezza e, soprattutto, con energica ed esuberante convinzione.
Consapevoli della loro identità, riconfermata e riconquistata con il precedente album, ora nessuno li può più fermare e sono tornati a divertirsi come non mai, sperimentando nuovamente in un modo tutto loro. Ad un orecchio poco attento potrà anche sembrare che facciano “sempre il solito catchy garage punk rock sparato a mille” ma, al netto del fatto che saremmo fortunati ad averne di band che fanno garage rock a questo livello, gli Hives hanno sempre incluso nei propri album piccoli giochi, rimandi e influenze delle più varie.
In questo caso, visto che l’obiettivo, come dichiarato sin da principio, era quello di creare un corpus musicale sostanzialmente infarcito di sole hit da classifica (un piano ambizioso? Bè, non per niente capeggiano in copertina con mantelli e corone da regnanti!), hanno giocato concedendosi svariate citazioni da molteplici artisti più o meno contemporanei – dall'introduzione che vede un provocatorio richiamo alla Quinta Sinfonia di Beethoven, sino agli Strokes dell’ultima traccia, passando in mezzo per buon parte della storia del rock e affini degli ultimi quarant’anni (AC/DC, Stooges, Devo, Buzzcocks, Royal Republic, e molti altri) – tutti abilmente filtrati e distillati affinché fosse possibile godere di un prodotto 100% Hives, ma con un interessante e inatteso retrogusto barrique che ne affina ed esalta ulteriormente il gusto.
I 13 brani (tra cui un’introduzione e un interludio) sono stati realizzati con dedizione, incoscienza e abilità sotto la guida del loro storico collaboratore Pelle Gunnerfeldt, conosciuto anche per il suo lavoro con Viagra Boys e Yung Lean, e con Mike D dei leggendari Beastie Boys. Una collaborazione, quella con Mike D, che Almqvist ha così ironicamente riassunto: “In pratica, lui realizzava cover delle canzoni degli Hives. Gli mandavamo i demo e lui ne realizzava una versione nel suo piccolo studio dei Beastie Boys e ce la rispediva. Prendevamo alcune di quelle cose e le mescolavamo nella nostra versione". A quanto pare, Mike D all'inizio del lavoro con la band ha confidato ad Almqvist: “Mi piacete davvero, ragazzi. Siete una delle poche band che suonano bene con due chitarre”. A testimonianza che un garage rock muscolare lo possono fare in molti, ma fare casino e farlo con stile, ironia, autoironia, follia e precisione non è decisamente da molti.
Ciliegina sulla torta dei crediti, anche Josh Homme dei Queens of the Stone Age (che aveva già collaborato con la band in precedenza) ha offerto i suoi preziosi consigli. Inoltre, visto che lo studio in cui la band registra da tempo è quello di Benny Andersson degli ABBA, pare che Benny spesso faccia una capatina durante le prove delle band in lavorazione e, nel corso di quella dell’ultimo album degli Hives, è entrato in sala di registrazione e ha chiesto loro “Allora... avete qualche hit?”. Una domanda non proprio casuale se te la fa uno degli ABBA, a cui sembra che gli Hives abbiano risposto intendendo qualcosa del tipo: “We do, but not like them!”. E per noi che ascoltiamo l’album una volta terminato, non possiamo che pensare: sì, non saranno hit planetarie come quelle degli ABBA, ma anche quelle dei The Hives ci sono eccome e non scherzano affatto.
Mezzoretta che passa in un baleno quella in compagnia di The Hives Forever Forever The Hives, dove ogni canzone è realmente un grande singolo, dotata ognuna di un quid diverso: quel riff, quel giro di chitarra, quel cambio di ritmo, quel ritornello, quella battuta nel testo... ogni piccolo fattore è semplice ma diretto al punto e fa inevitabilmente venire voglia di sudare in prima linea ad un loro concerto. Faranno anche “solo” garage punk rock, ma in quanti possono dire di essere in grado di realizzare non solamente uno o due singoloni per album, ma praticamente un album intero di potenziali hit, perfette sia per il palcoscenico sia per le cuffie? Un album dove le marce si scalano solo per lanciare la macchina a mille passando dalla seconda alla quinta in pochi secondi; un antidoto perfetto a ogni malumore o depressione stagionale.
Al diavolo le languide riflessioni e i pianti liberatori, con gli Hives i problemi si risolvono nel modo migliore: gridandoli a pieni polmoni con ironia e leggerezza, prendendo in giro sia chi se lo merita sia se stessi e scatenandosi fino a che non se ne può più, rilasciando così chili di endorfine nel cervello, pronte ad essere utilizzate per affrontare davvero il mondo fuori. Cosa che, visti i tempi bui che corrono, è un’opportunità salvifica da non sottovalutare per poter rigenerare le energie mentali di chiunque.
Che nemmeno gli Hives ne possano più di questo assurdo mondo e delle persone ancora più assurde che lo popolano, comunque, è chiaro fin dalla traccia di apertura, “Enough Is Enough”, dove i primi versi recitano: “Ognuno è una piccola fottuta stronza e io sto diventando stanco e stufo di questo. Sono stato dal dottore, è venuto fuori che sono malato: malato delle stronzate di tutti quanti. E non sto sentendo, non sto ascoltando nulla, non posso di più. Ora lo yang è ying, un buffone è re e tutto diventa qualcos’altro. Quando è troppo è troppo!”. E quanti di noi non lo pensano più spesso di quanto non si creda, in molti più contesti di quanti non ce ne si rende conto?
Senza considerare l’ironia e rabbia nemmeno troppo sottese a “Legalize Living”, che già con il titolo dice tutto da sola. Parlando del brano i The Hives hanno dichiarato: "Ti sei mai sentito come se la vita ti strangolasse un po’ ogni giorno? Come un dolcevita troppo stretto, o come se ti stringessero il collo le mani di un nano da giardino invisibile? Ti sembra che ci mettano in gabbie sempre più piccole e con orari sempre più serrati? Ti riconosci in Michael Douglas in Un giorno di ordinaria follia? Non sei pazzo! I governi di tutto il mondo stanno lentamente ma inesorabilmente rendendo la vita stessa illegale. Basta normalizzare questa normalizzazione! Unisciti agli Hives nella campagna per la legalizzazione della vita in tutti i paesi! Le cose devono cambiare subito!”. E chi non si unirebbe nella lotta per un mondo più abitabile per tutti?
Un brano degno compare dell’altro singolo, "Paint a Picture": "Una canzone che parla del tentativo di convincere gli altri e se stessi che vivere ai margini della società sia una buona idea”, e non ci mettiamo a citare anche tutti gli altri, di cui, se avrete voglia di ascoltare l’album, di certo vi innamorerete per i motivi più svariati.
Spavaldi, ironici, intelligenti, taglienti, vivaci, vibranti, vigorosi, convinti e convincenti, oltre che naturalmente e inevitabilmente super cool. Gli Hives sono una celebrazione del rock’n’roll nella sua accezione migliore: di sintesi tra rabbia, umorismo intelligente e divertimento (consapevole e apparentemente incosciente al tempo stesso), di concerti impeccabili, di energia, vitalità, sudore e gloria. Perché il mondo e chi ci abita starà anche andando inequivocabilmente in rovina, ma ad un certo punto è anche il caso di operare un radicale detox come solo l’ottimo atteggiamento rock’n’roll insegna da decenni a fare. Quindi viva la trionfale esuberanza e l’incisiva iniezione di gioia e sicurezza di sé, che la polvere di ogni stanchezza venga scrollata dalle nostre spalle e si faccia spazio, almeno per un po’, ad un allegro, compiacente e divertente entusiasmo. Poi, affrontare serenamente o con rinnovate energie tutto il resto, è decisamente più facile o senza dubbio più leggero.
Corona e mantello d’ermellino ce l’hanno già, il trono se lo sono preso e guadagnato al tempo stesso e, temiamo di non esagerare nel dire che potrebbero essere sicuramente regnanti migliori della maggior parte di quelli che abbiamo ai giorni nostri. Se gli Hives sono tornati per restare per sempre e per garantirci che resteranno sempre e meravigliosamente loro stessi, con tutta la follia e l’allegra e ironica baldanza che li caratterizza, non possiamo far altro che inchinarci al loro cospetto e augurare loro lunga vita (e prosperità).